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Occhio non vede, cuore non duole

È un detto comune. Finché non si osserva attentamente e non si comprende con chiarezza ciò che ci potrebbe far soffrire, il nostro cuore non duole.

E il meccanismo umano, psicologico sottostante è altrettanto evidente e comprensibile. Quando iniziamo una nuova attività, una nuova avventura, quello che per noi ha valore è il fatto di provarci, di creare, di imparare. Viviamo felicemente la dimensione della scoperta, dell’esplorazione. Non appena però il buio si dipana, e iniziamo a sperimentare modi efficaci di comportarci e di affrontare certe situazioni, la nostra priorità diventa quella di assicurarci l’affidabilità e la coerenza di quell’approccio. I piccoli inconvenienti (perché all’inizio solitamente sono sempre piccoli) vengono trascurati, o addirittura ignorati proprio perché si cerca di mantenere inalterata la predicibilità di azione-conseguenza. Questo atteggiamento è comune a tutti. Non è patologico.

A volte però le conseguenze possono essere anche molto gravi.

Pensate a quello che è successo in Cina. Dopo l’epidemia SARS scoppiata nel 2002, era stato messa a punto un sistema di segnalazione delle malattie infettive ritenuto eccellente dalle autorità: veloce, completo e immune da qualunque tipo di ingerenza.

 

Il funzionamento era semplice: gli ospedali inserivano i dati dei pazienti in un computer e immediatamente le autorità sanitarie governative di Pechino erano avvisate. In questo modo gli ufficiali addestrati si prendevano carico di individuare e fermare le epidemie contagiose prima che queste potessero diffondersi.

 

Con l’arrivo di una nuova epidemia – Covid 19 - questo sistema è fallito. Non a causa del sistema stesso, però.

 

In particolare, a Wuhan, dopo aver rilevato una misteriosa polmonite, la segnalazione avrebbe dovuto essere automatica. Invece, gli ospedali si sono rivolti ai funzionari sanitari locali che, a causa di un'avversione politica alla condivisione di cattive notizie, hanno nascosto le informazioni sui casi al sistema di segnalazione nazionale, mantenendo Pechino all'oscuro e ritardando la risposta.

 

La mancata condivisione di questa brutta notizia ha portato conseguenze che oggi, purtroppo, sono note a tutti.

 

Ajay Banga, che negli ultimi 10 anni ha ricoperto il ruolo di CEO di Mastercard e da gennaio 2021 è presidente esecutivo dell’azienda, parlando di leadership efficace, ha dichiarato:

Odio le cattive notizie e odio davvero il fallimento. Ma so che l'unico modo per prevenire il fallimento è accogliere informazioni rispetto a problemi in atto. Abbiamo bisogno delle cattive notizie, per poter fare qualcosa al riguardo. Non si deve mai respingere il messaggero. Se ha buone notizie per me, che prenda le scale. Se ha brutte notizie, che prenda l'ascensore!

Messaggio chiave: come leader assicurati di creare, coltivare e mantenere aperto il dialogo con chi ti circonda. Vero, lo abbiamo sentito dire già tante volte ma la storia e l’esperienza ci dimostrano che è tuttora una competenza scarsa. Soprattutto quando si tratta di saper accogliere brutte notizie.

 

E perché questo è in primis responsabilità dei leader (e non “50-50” come alcuni sostengono)? Perché se i rischi associati all’esporsi sono chiari e immediati e i benefici risultano invece incerti, per la nota teoria della sopravvivenza, ogni essere umano tenderà a privilegiare l’opzione di restarsene zitto/a.

Non portarmi problemi, portami soluzioni - dicono.

Da un lato, giustamente, per incoraggiare la proattività dei propri collaboratori, che in alcuni casi potrebbero cadere nella tentazione di delegare tutto al proprio manager. Dall’altro però questo tipo di affermazione potrebbe nascondere un’indisponibilità da parte dei manager di aprirsi al confronto.

 

Phillip Wilson, esperto in leadership training, ci pone alcune domande volte a rivelare che tipo di leader siamo rispetto al nostro grado di approachability (i.e. la nostra propensione a fare in modo che altre persone si sentano a proprio agio nel comunicare notizie buone o cattive, con la certezza di essere ascoltate) tra cui:

C’è qualcuno nel tuo team che ti evita – o qualcuno che tu tendi ad evitare?

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