Quando si parla di politica in ambito organizzativo, la reazione è spesso di fastidio o diffidenza. Il termine evoca giochi di potere, manovre opache, interessi personali che ostacolano il bene comune. Eppure, questa è solo una parte – e forse la più superficiale – della realtà.
La politica organizzativa, in senso tecnico, non è altro che l’insieme delle dinamiche informali attraverso cui le persone influenzano decisioni, costruiscono alleanze, gestiscono interessi divergenti. Non è un’anomalia del sistema, ma una sua componente fisiologica: ogni organizzazione è fatta di individui con visioni, priorità e vincoli diversi. La politica, in questo contesto, è il modo attraverso cui si negozia l’azione collettiva.
Il punto non è quindi “se” fare politica, ma “come”. E, soprattutto, con quale livello di consapevolezza e integrità ci si muove in questo terreno.
Per un leader, ignorare la politica significa spesso restarne vittima. Ma aderirvi ciecamente, piegandosi a logiche manipolatorie, può compromettere valori, credibilità e impatto. Navigare la politica richiede lucidità, senso etico e capacità relazionali. Più che un'abilità da “imparare”, è un equilibrio da coltivare.
Come in ogni situazione complessa, non esiste una ricetta unica: ciò che conta è la capacità di fermarsi, osservare e porsi le domande giuste per restare in equilibrio tra efficacia, relazioni e integrità. Tra queste, eccone tre che possono iniziare a indirizzarci: