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In dialogo con noi stessi

One of the interesting things about being in public life is there are constantly these pressures being placed on you from different sides. To be effective, you have to be able to listen to a variety of points of view, synthesize viewpoints. You also have to know when to be just a strong advocate, and push back against certain people or views that you think aren’t right or don’t serve your constituents. And so the biggest challenge, I think, is always maintaining your moral compass. Those are the conversations I’m having internally. I’m measuring my actions against the inner voice that for me at least is audible, is active, it tells me where I think I’m on track and where I think I’m off track.

 

Introspezione, ovvero la capacità di prestare attenzione in modo attivo ed intenzionale ai propri pensieri e sentimenti, mentre ci si destreggia tra le innumerevoli decisioni, pressioni, stimoli, novità ed incontri che caratterizzano la nostra quotidianità. Questa è la sfida di cui ci racconta Barack Obama in un’intervista del 2004, poco prima di essere eletto al Senato degli Stati Uniti. Questa abilità è riconosciuta da molti studiosi come uno dei fattori chiave che contraddistingue l’essere umano da tutte le altre specie. È alla base della nostra evoluzione.

A partire dal ventunesimo secolo, dato il ritmo incalzante dettato della rivoluzione digitale e dalla globalizzazione, abbiamo assistito ad uno sforzo di sensibilizzazione verso la necessità di vivere nel presente, inteso come il bisogno di ridurre il numero di distrazioni. Si parla in modo sempre più esasperato di riduzione dell’attention span, ovvero della nostra capacità di rimanere focalizzati su uno specifico task per un certo periodo di tempo, senza alcuna distrazione. La tecnologia, ad esempio, ha abilitato e continua a premiare questa capacità dell’essere umano di passare molto velocemente da un’attività ad un’altra, da un device all’altro senza soluzione di continuità. Questo allena una certa flessibilità e rapidità, ma contemporaneamente abitua a rimanere in superficie, scendendo raramente in profondità. Esistono, però due modi di non vivere il presente: uno è appunto la distrazione, mentre il secondo è l’introspezione. Studi recenti hanno mostrato come noi spendiamo un terzo - se non addirittura in alcuni casi metà – del nostro tempo di veglia staccandoci dal qui ed ora e tornando a rivivere memorie passate o proiettandoci in scenari futuri immaginati. In questo caso non si tratta di distrazione. Questa attività del nostro cervello è chiamata “default mode”. La nostra mente comincia a viaggiare e smette di essere impegnata nell’attimo presente. Perché attiviamo queste conversazioni con noi stessi, distaccandoci da ciò che avviene in un preciso istante? Per trattenere informazioni, per riflettere sulle nostre decisioni, per controllare le nostre emozioni, per studiare alternative, per ricordare il passato, per tenere a mente i nostri obiettivi, e continuamente ricercare il senso di ciò che viviamo. Anche quando queste conversazioni ci portano a sperimentare emozioni e sentimenti negativi, bisognerebbe mettersi in ascolto. La capacità di sostare su emozioni quali rabbia, tristezza, disgusto, ad esempio, ci aiuta a rispondere in modo efficace a cambiamenti che avvengono all’esterno, trovando la soluzione più appropriata al momento che stiamo vivendo. Spesso, questo dialogo interiore è efficace e funzionale non nonostante le emozioni che provoca, ma proprio in virtù di quest’ultime.

 

Può capitare che queste conversazioni siano scomode e a tratti dolorose, la sfida è quella di non soccombere a questo genere di dialoghi e, neanche, soffocarli attraverso ripetute distrazioni.

Privarsene, per contro, sarebbe come voler navigare il mare con una barca senza timone. Soprattutto un mare che oggi, data la miriade di stimoli e pressioni che riceviamo, assume – spesso – i tratti di un oceano in tempesta.

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