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Casa-lavoro: il beneficio c'è!

Da poco più di due settimane non si parla d’altro. Tantissimi i commenti e le critiche sulle dichiarazioni di Elisabetta Franchi durante un’intervista ad un evento organizzato da Il Foglio e Pwc. Tra le righe (a volte non proprio tra le righe) si legge stupore, rabbia, risentimento, scandalo, frustrazione. Ma davvero ha avuto il coraggio di affermare cose simili? - si domandano in tanti. Alcuni, invece, sembrano apprezzarne proprio il coraggio, sostenendo che siano in molti a pensarla come lei senza ammetterlo apertamente.

 

Eppure questo è ormai un tema caldo da diversi decenni, da quando le donne hanno fatto il loro ingresso nel mondo del lavoro. Solo recentemente è diventata una questione anche per il mondo maschile, visto il trend introdotto dalla generazione dei Millennials tale per cui vi è un’implicazione maggiore dell’uomo nella sfera domestica. Ad ogni modo, di chiunque si tratti, di fronte all’impegno profuso in diversi ambiti della propria sfera privata e professionale, rimane un grande ostacolo:

«Come si fa a trovare il giusto bilanciamento? Nella vita di tutti i giorni, si sa, non si può avere successo in ambito professionale senza fare grossi sacrifici nella propria vita privata, e viceversa».

Vista con gli occhi del collaboratore o del datore di lavoro, la prospettiva rimane sempre questa.

Al di là di ogni scandalo o momento di rabbia, varrebbe la pena interrogarsi sul perché pensiamo questo e quali sono le fondamenta di questo modo di concepire la gestione della sfera professionale e privata. Una serie di evidenze scientifiche ci spiega che una buona parte di questo ostacolo è spesso costruito e consolidato nella nostra mente. Spesso, infatti, nella gestione di ruoli diversi adottiamo quello che viene definito binary thinking, ovvero un modo di pensare e di concepire fenomeni complessi attraverso una eccessiva semplificazione del fenomeno stesso, tale per cui quest’ultimo o è bianco o è nero. Non esiste zona grigia, non esistono sfumature. È proprio da questa concezione che scaturisce l’idea del work-life balance: o siamo in equilibrio o non lo siamo. E spesso pensiamo di non esserlo. Siamo convinti che il lavoro sia in continua competizione con il resto della vita, che il tempo dedicato a un ruolo sia necessariamente «tolto» all'altro, che la fatica e lo sforzo causato da un ruolo renda difficile avere successo nell'altro e, infine, che il comportamento richiesto in un ruolo non sia compatibile con quello richiesto nell'altro ruolo.

Questa visione conflittuale della molteplicità di ruoli in cui il soggetto si trova implicato non è però l’unico paio di lenti attraverso cui guardare questo fenomeno.

Nello specifico, esistono diversi studi che testimoniano come, invece che concepire la propria vita come un’unica torta contenente un set limitato di risorse da suddividere cautamente nei vari ruoli, questa possa essere concepita come un’entità potenzialmente espandibile, dove tempo ed energia sono risorse condivise ed integrate tra diversi ambiti. Secondo questa prospettiva, l’essere umano è più della somma delle sue parti. La partecipazione in un ruolo può, ad esempio, creare nuove ed inaspettate risorse da trasferire in altri ambiti. In sintesi, si può parlare di creazione di sinergie positive.

Nello specifico si è visto come la partecipazione e gestione di ruoli diversi porti a un arricchimento dell’essere umano su svariati fronti. In primis, ruoli diversi possono rappresentare opportunità per arricchire le proprie competenze relazionali. Il creare e il prendersi cura di relazioni al di fuori dell’ambito professionale, siano essi amici, figli, genitori o vicini di casa, è un’occasione per allenarsi nel conoscere, capire, motivare, rispettare e sviluppare l’altrui diversità.

Esistono poi benefici psicologici derivanti dalla gestione di ruoli diversi: il mero fatto di riuscire, ad esempio a superare ostacoli e gestire alcuni rischi nella sfera privata incrementa la stima e la fiducia in se stessi, e il coraggio di fare lo stesso in ambito professionale, e viceversa. Inoltre, poter contare sul supporto di amici e componenti familiari aiuta a gestire in modo più efficace le proprie emozioni e stati d’animo, in modo che queste siano funzionali allo svolgimento delle proprie attività in ambito lavorativo.

Attraverso la gestione di ruoli diversi si espande anche il proprio bacino di esperienze e interessi. Rispetto alla complessità in cui spesso e volentieri ci troviamo immersi, poter contare sull’agilità e sull’apertura mentale tipica di chi gestisce situazioni diverse fra loro è certamente una risorsa chiave.

Infine, non sono da trascurare le competenze di leadership che si apprendono nel destreggiarsi tra molteplici responsabilità e scenari, mentre si gestiscono ruoli diversi. È stato dimostrato come queste diverse esperienze rafforzino competenze quali ad esempio la pianificazione, la definizione di visione e strategie a breve, medio e lungo termine, la gestione dello stress e la comunicazione.

In sintesi, quindi, può succedere di sperimentare conflitto fra i diversi ruoli ma può anche accadere l’esatto opposto, cioè che ne scaturisca un arricchimento personale e collettivo.  Data la domanda sempre crescente di talenti, è bene che le aziende comprendano e sappiano valorizzare a fondo le competenze e i punti di forza che possono emergere dal fatto stesso di impegnarsi su più fronti e che, dove possibile, facilitino e supportino tale impegno. È bene infatti ricordare che le esperienze vissute e accumulate sono il DNA unico di ciascuno di noi e che, pertanto, vanno affrontate sempre con una buona dose di coraggio, curiosità e responsabilità, ricercando intenzionalmente le sinergie che se ne possono trarre, sia a livello di individui che di azienda. I benefici ci sono. Per iniziare a vederli, cominciamo ad indossare il giusto paio di lenti.

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