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Amici al lavoro: maneggiare con cura!

Credo che in molti si siano trovati a un certo punto della propria carriera di fronte al grande dilemma: è un bene o un male lavorare con un amico?

La risposta, come immaginerete, è: dipende. Sia che la persona in questione sia diventata “amica” al lavoro o che lo fosse già prima di iniziare a lavorare insieme, non è un aspetto da trascurare. È una situazione complessa che richiede tanta diligenza, se non di più, quanto quella che normalmente si impiegherebbe con un estraneo.

Tante volte la reazione a cui ho assistito o di cui ho letto è quella di chi, potendo scegliere, preferisce non lavorare con un amico per non ricadere in meccanismi di favoritismo. Una promozione assegnata quando non propriamente meritata o un feedback negativo non dato per paura di rovinare la relazione. Entrambe situazioni che, a priori, ognuno di noi vorrebbe certamente evitare. Ma quando, invece, ci si ritrova nel bel mezzo di queste situazioni e decisioni, è quasi “fisiologico” sperimentare disorientamento, frustrazione e incertezza.

E allora che fare? Meglio evitare, e seguire sempre il famoso motto “friendly but not friends”?

Secondo alcuni studi, le persone che hanno un "migliore amico al lavoro" non solo hanno maggiori probabilità di essere più felici e più sane, ma hanno anche una dedizione al lavoro sette volte superiore. Inoltre, i dipendenti che riferiscono di avere amici al lavoro hanno livelli di produttività, fidelizzazione e soddisfazione sul lavoro più elevati rispetto a quelli che preferiscono non stringere amicizie in ambito professionale.

 

Allo stesso tempo, non è facile gestire queste relazioni quando (inevitabilmente) si presentano situazioni di conflitto. Questo solitamente genera un affaticamento a livello emotivo e possibili ripercussioni a livello di team di cui è bene tener conto. Certamente da un lato ci sarà il desiderio di non rovinare il rapporto d’amicizia, ma dall’altro, soprattutto chi occupa posizioni di leadership, si troverà a fronteggiare alcune sfide legate alla necessità di adempiere le proprie responsabilità e assicurare i risultati di business. Ad esempio, i manager devono poter continuare ad essere in grado di assegnare compiti, far rispettare scadenze e gerarchia dei ruoli. Le valutazioni delle performance devono sempre avvenire in modo autentico e onesto. La competitività, che fa spesso parte della cultura in ambito professionale, porrà di fronte quesiti quali “chi merita la promozione?” a cui è bene rispondere con una valutazione basata primariamente su fatti. Situazioni come queste, se mal gestite, possono portare a mancanza di fiducia, di lucidità e di chiarezza ed (eccessiva) vulnerabilità dei soggetti coinvolti.

 

Tutto questo, però, non deve inibire a priori la scelta di lavorare con amici anche e proprio alla luce di alcune ricerche che dimostrano il valore di rapporti di questo tipo in ambito professionale. Dopo il nutrirsi e il trovare riparo, l'appartenenza è un bisogno umano fondamentale. Trascorriamo solitamente un minimo di 8/9 ore della nostra giornata al lavoro, e pertanto abbiamo molto meno tempo per soddisfare i nostri bisogni sociali al di fuori del lavoro. Importante anche considerare che, come dimostrato da John Cacioppo, professore all'Università di Chicago, i veri benefici per la salute e la felicità della connessione sociale derivano meno dalla quantità di amici quanto dalla qualità delle connessioni. Dalla cura e dal tempo che gli dedichiamo, quindi. La routine che quasi tutti inseguiamo ogni giorno non è la nostra migliore alleata, in quanto spesso ci richiede di seguire ritmi frenetici dove si fa fatica a ritagliare il giusto spazio per coltivare amicizie.

Creare sinergie attraverso amicizie in ambito professionale, potrebbe quindi rivelarsi una buona scelta per il nostro benessere in azienda, se fatta con consapevolezza e condivisione degli obiettivi e delle responsabilità ed aspettative reciproche.

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