Donne e lavoro: progettare e implementare pratiche di inclusione per la crescita.

StrongHER TogetHER: l'occasione per riflettere sull'accesso limitato delle donne a ruoli professionali rilevanti. Un dialogo per esplorare soluzioni e strategie per l'emancipazione economica e professionale femminile.

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“Numerosi studi mostrano che l’emancipazione economica svolge un ruolo crucialenel contrastare la violenza sulle donne o almeno nel limitarne le ripercussioni. Per questo, le imprese hanno una responsabilità importante e devono agire più efficacemente per una vera inclusione” spiegano Rossella Cappetta, Professoressa di Organizzazione del lavoro presso l'Università Bocconi e Associate Dean for Open Programs di SDA Bocconi, e Peter Durante, Chief Human Resources Officer di Italgas.

I dati dicono che in Italia oltre il 13% delle donne è in una posizione di subordinazione economica tale da essere a rischio di violenza economica. Rischio che aumenta significativamente per le donne con figli e che si prendono regolarmente cura della casa. L’inclusione di genere rimane la questione centrale nel mercato del lavoro: la metà delle donne in Italia non partecipa al mercato del lavoro (ISTAT, 2023). In Italia il mercato del lavoro è particolarmente complesso quando si è donne, perché quando si lavora non si guadagna come un uomo e, a parità di impegno e risultati, non si raggiungono facilmente gli stessi ruoli. Considerati 10 manager, solo 3 di questi sono donne e guadagnano il 23% in meno dei loro colleghi uomini.

Durante il dialogo, Cappetta e Durante si confrontano sul ruolo del lavoro nell’emancipazione femminile. Il tema tecnicamente complesso: è necessario progettare e implementare pratiche manageriali di inclusione che sostengano la crescita delle donne sostenendo la crescita di impresa. La diffusa spinta nelle imprese a raggiungere gli obiettivi ESG può essere un acceleratore per affrontare in azienda in maniera più efficace la questione dell’equità di genere, perché non ci può essere il raggiungimento di obiettivi ESG senza inclusione della popolazione femminile.

A rendere ancora più complesso questo argomento, vi è anche una narrazione tutta negativa e decrescista sul lavoro che si è diffusa negli ultimi anni e che presenta non pochi rischi per le donne.

La narrazione del bilanciamento fra vita privata e vita professionale, il mito della fuga dal lavoro siamo sicuri che abbiano le stesse implicazioni e siano equamente indirizzate a uomini e donne? Stiamo parlando in modo equo di “work to family” conflict e di “family to work” conflict? E abbiamo aspettative differenziate per uomini e donne nella riduzione di queste due tipi di conflitto? Per le donne, intervengono Cappetta e Durante, questa narrazione del ritorno a stili di vita più “naturali” ha il sapore amaro di un ritorno a ruoli di cura domestica 

In che modo bisogna intervenire nelle imprese? Sono necessari strumenti manageriali ad hoc? Alcune pratiche progettate ad hoc per il bilanciamento vita privata versus vita professionale, dal part-time al remote working, possono diventare strumenti segregativi.

“È già accaduto con il part time”, interviene Cappetta. In Europa (Eurostat, 2022), 1 donna su 3 con figli decide di lavorare part-time contro un rapporto 1 a 5 per le donne senza figli a carico. Per gli uomini, non solo la percentuale di lavoratori part-time è notevolmente inferiore (l’8,4%), ma anche il trend è inverso: gli uomini con figli lavorano meno part-time rispetto a quelli che non ne hanno. Il part-time è la forma d’ingresso al mercato del lavoro per 1 donna su 2, contro il 26% degli uomini (Istat, 2022; Inapp, 2022).

Rischia di accadere la stessa cosa con il remote working. Le donne lavorano in modalità remote più degli uomini (Eurofound, 2022). Le donne hanno maggiori difficoltà a tenere separati i domini casa e lavoro a fronte del maggior ruolo come “caregiver” (Eurofound, 2023). Se il remote working diventasse uno strumento “per le donne” potrebbe avere implicazioni negative rilevanti in termini sia di efficacia lavorativa che in termini di visibilità e carriera.

“La sfida, dunque, che da studiosi e da manager abbiamo il dovere di vincere, è quella di costruire imprese veramente inclusive affinché il lavoro sia un elemento di forza per le donne. Le politiche di inclusione come elemento centrale per generare valore, sociale certamente ma anche economico. È importante mettere in atto politiche di inclusione che preservino una “stanza tutta per sé”, che favoriscano il consolidamento di una identità professionale altra rispetto all’identità personale; politiche che favoriscano eque opportunità di carriera e visibilità, equo accesso a lavori belli e produttivi insieme, che permettano equo rafforzamento della competenza tecnica e manageriale ed equo accesso alle opportunità di formazione”, ribadisce Cappetta.

“Sono tante le aziende che come la mia stanno lavorando sul gender pay gap, che credo sia un tema che si risolve davvero solo se avremo il coraggio di lavorare sul gender balance, e ciò avverrà se ci concentreremo sul merito”, dichiara Durante, e aggiunge: “Tutte le imprese devono agire con forza il proprio ruolo sociale. Sono una comunità che può e deve essere argine solido alla violenza di genere. In particolare, le funzioni HR devono essere anche luoghi di sicurezza in cui le lavoratrici possano trovare un supporto concreto in casi di violenza, un collegamento ufficiale con i professionisti di cui necessitano per affrontare la situazione di difficoltà e, quando necessario, anche con le forze dell’ordine”.

La necessità è di sfidarsi nella costruzione di soluzioni di gestione delle persone più complesse e generatrici di “shared value” – valori sostenibili e condivisi, sociali ed economici insieme – a beneficio tanto dell'impresa quanto dei singoli e della comunità. “Dobbiamo agire tempestivamente con strumenti manageriali e con nuove policy, perché progettare e poi difendere il lavoro delle donne è l’unica risposta possibile. È il momento di recuperare il ruolo di responsabilità in impresa, anche per essere argine alla violenza. È ora il tempo del coraggio in impresa”.

 

SDA Bocconi School of Management

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