Promuovere la cultura inclusiva in azienda

SDA Bocconi Insight - Scaffale - S. Basaglia, S. Cuomo, Z.T. Simonella

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Perché le organizzazioni dovrebbero cercare di diventare più inclusive? Perché è giusto così, scrivono Stefano Basaglia, Simona Cuomo e Zenia Simonella nell’Introduzione del loro recente saggio L’organizzazione inclusiva. Pari opportunità e diversity management edito da Egea.

Anche se probabilmente non esistono organizzazioni realmente e pienamente inclusive, l’«organizzazione inclusiva», spiegano gli autori, rappresenta un modello ideale a cui manager e organizzazioni devono tendere per migliorare le relazioni sociali e rispondere alle richieste etiche e morali di una società avanzata.

Il volume, frutto anche delle ricerche sul campo accumulate dall’Osservatorio Diversity, Inclusion & Smart working di SDA Bocconi School of Management, fornisce a manager, lavoratori e studiosi idee e strumenti concettuali per capire come e perché le organizzazioni debbano gestire la diversità e favorire l’inclusione. In particolare, i manager possono confrontare la loro realtà con i modelli presentati nel libro, per capire a che punto si trovano nel processo di adozione di politiche inclusive e, nel caso, promuoverne di nuove. I lavoratori, in maniera individuale o collettiva, possono valutare l’organizzazione in cui lavorano e capire se questa si stia impegnando a rendere il clima più inclusivo.

Partiamo da una domanda solo in apparenza semplice e banale: che cos’è un’organizzazione inclusiva?

È un’organizzazione, aperta ed elastica, che non discrimina e che tratta tutti i lavoratori con dignità e rispetto, facendo in modo che possano liberamente esprimersi e partecipare alla vita dell’organizzazione. Nel nostro libro abbiamo trattato sia diversità considerate tradizionali (il genere, la genitorialità, la comunità LGBTQI+, l’età, le generazioni, le disabilità, l’etnia), sia categorie generalmente poco o non incluse nel dibattito pubblico (l’affiliazione sindacale, il ruolo e la famiglia professionale, la posizione contrattuale, la classe sociale, l’aspetto fisico, la personalità).  

Quali sono le migliori strategie per promuovere una cultura aziendale davvero inclusiva?

Per costruire un’organizzazione inclusiva è necessario lavorare sulle politiche, sulle strutture e sui comportamenti. Bisognerebbe promuovere un processo dall’alto verso il basso, ma anche dal basso verso l’alto. Questo significa che, da una parte, il tema dovrebbe essere riconosciuto come importante dal vertice dell’organizzazione; in organizzazioni medio-grandi ciò comporta la definizione di una strategia, la definizione di obiettivi, l’istituzione di strutture organizzative responsabili e un piano di attività di medio-lungo periodo. In organizzazioni più piccole il grado di formalizzazione può variare. Dall’altro, è necessario attivare la partecipazione dal basso favorendo lo sviluppo di reti tra i lavoratori e di progetti spontanei. È questa circolarità che favorisce la costruzione di un’organizzazione inclusiva. Il rischio di lavorare con un approccio unidirezionale è o l’eccessiva formalizzazione e burocratizzazione o la dispersione e la confusione. Ovviamente è importante formare e sensibilizzare i lavoratori a tutti i livelli favorendo l’integrazione e lo scambio tra ruoli, gruppi, funzioni e categorie della diversità.

Qual è il ruolo della leadership nei processi di inclusione?

I leader sono i costruttori della cultura aziendale: assumere il ruolo con gli occhiali dell’inclusione significa interrogarsi su quanto si sia disposti ad aprirsi e a farsi carico delle diversità dei collaboratori sia come singoli individui, sia come parte di una categoria che può essere socialmente marginalizzata o stigmatizzata perché minoranza in quel contesto organizzativo o a livello sociale. Infatti, secondo gli approcci più recenti la sfida del leader inclusivo non sta tanto nell’avere tante diversità nel proprio gruppo, ma nel creare le condizioni in cui è minimizzato il rischio che questa diversità crei esclusione e in cui è massimizzata la possibilità di esprimersi e partecipare.

Un tema particolarmente dibattuto a livello politico e sociale è quello della gestione della diversità basata sull’orientamento sessuale. Quali sono, a vostro avviso, le pratiche più efficaci in tal senso?

Queste pratiche dipendono molto dal contesto socio-legale in cui l’organizzazione si inserisce. In Italia, l’eguaglianza, la tutela e la protezione dei cittadini LGBTQI+ è più debole rispetto ad altri Paesi europei come la Spagna, la Francia e la Germania (nella classifica Raimbow Europe stilata dall’Ilga Europe, l’Italia si colloca al 33° posto su 49 Paesi). Questo rende più complessa l’adozione di politiche, pratiche e azioni per i lavoratori LGBTQI+. Tra le azioni più efficaci c’è la creazione, all’interno dell’organizzazione, di gruppi di lavoratori LGBTQI+ che possono svolgere una funzione di stimolo e di diffusione, in senso verticale (lungo la gerarchia) e orizzontale (tra i pari) dei temi LGBTQI+. Possono inoltre vigilare a che le politiche verso il mondo LGBTQI+ non si trasformino in un mero pinkwashing, ossia in un mero sfruttamento del mondo LGBTQI+ per nascondere altri problemi (per esempio, l’utilizzo estensivo della precarietà in alcune funzioni operative) o semplicemente per aggredire il mercato dei clienti LGBTQI+. Inoltre, questi gruppi possono svolgere un ruolo anche verso l’esterno: in collaborazione con le organizzazioni del movimento LGBTQI+ possono fare pressioni, nei confronti del governo, del parlamento ecc., per l’approvazione di leggi che contribuiscano a realizzare l’eguaglianza dei cittadini LGBTQI+ (l’approvazione della legge contro l’omotransfobia, il matrimonio egualitario, ecc.). Un altro aspetto importante è, viste le carenze legislative dell’Italia, l’estensione alle famiglie omogenitoriali di tutti i diritti e i benefit delle famiglie eterosessuali.

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