Donne & lavoro: sotto il pay gap, il problema resta la carriera

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Il dibattito sul tema del pay gap è di dominio pubblico e ancora infervora gli animi suscitando sdegno rispetto a un’ingiustizia organizzativa così evidente. Prendiamo per esempio l’ultima indagine di EUROSTAT, resa pubblica da vari siti e testate impegnati sui temi della gender diversity. I dati evidenziano come le donne nei paesi EU guadagnino in media il 16 per cento in meno degli uomini. In altre parole le donne guadagnano in media 84 centesimi per ogni euro che un uomo guadagna in un’ora e questo divario cresce all’aumentare del numero dei figli.

Proseguendo però nella lettura, la statistica EUROSTAT ci dice che quasi la metà delle lavoratrici tra i 25 e i 49 anni con almeno tre figli ha lavorato part-time, contro il 7,0 per cento degli uomini nella stessa situazione; quindi le donne hanno ancora meno probabilità rispetto agli uomini di avere un lavoro retribuito, tendono a lavorare meno ore, hanno retribuzioni orarie inferiori, e si concentrano in un numero minore di settori ben pagati.
Uomini e donne dunque sono separati dalla carriera o meglio dalla difficoltà che il sesso femminile ancora ha a entrare nel mercato del lavoro e a raggiungere posizioni rilevanti nelle organizzazioni.

Una ricerca pubblicata dal Diversity Management Lab di SDA Bocconi School of Management nel 2010 aveva infatti già rilevato come il gender pay gap, se si considerano posizioni di uguale complessità, in Italia sia pari al 5 per cento, un dato significativo ma non allarmante.
I risultati dello studio hanno dimostrato infatti come il vero problema non sia il pay gap, quanto la strutturale asimmetria del mercato del lavoro, che presenta in modo stabile fenomeni quali il «soffitto di vetro», cioè la difficoltà da parte delle donne ad accedere a ruoli di alta responsabilità (e meglio retribuiti), e la segregazione orizzontale, per cui le donne sono in genere maggiormente impiegate in funzioni aziendali a più bassa retribuzione. Data la natura del problema, si prospettano due livelli o spazi di azione: soluzioni a livello organizzativo e soluzioni a livello individuale.

La prima opzione di intervento riguarda l’attuazione di «buone prassi» che guidino le politiche retributive, ma anche gestionali e di sviluppo, a partire da una presa di consapevolezza maggiore del tema in esame da parte del management.
La seconda opzione riguarda lo sviluppo di percorsi formativi e di sviluppo per far sì che le donne, superando le difficoltà soggettive, migliorino la propria capacità di affermarsi valorizzando le specifiche potenzialità. Questa lacuna è particolarmente grave oggi poiché, stando ai dati fin qui disponibili, negoziare non è più un lusso, ma una necessità, per tutti.

Fonte: E&MPlus

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