Sisci: l’economia globale e la nuova “sindrome cinese”

“Economic Scenarios” - Full Time MBA

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È una Cina “pronta a tutto” quella che emerge dalle parole di Francesco Sisci nel suo duplice intervento dedicato alla situazione politico-economica del gigante asiatico e al quadro geopolitico dell’area all’interno del ciclo di lezioni “Economic Scenarios” organizzate da Francesco Giavazzi per l’MBA di SDA Bocconi. Una Cina forse preoccupata per un rallentamento della crescita e per le tensioni con gli USA, ma sicuramente determinata a non abdicare al suo ruolo di superpotenza economica (e non solo) in grado di influire pesantemente sugli equilibri globali. E che per farlo è disposta a giocare su diversi tavoli.

 

Sisci, giornalista e senior researcher presso la Renmin University of China, nel paese da più di 30 anni, evidenzia tre principali motivi di preoccupazione interna: un livello di corruzione della pubblica amministrazione giunto a livelli “disfunzionali” (i cui costi, cioè, sono di gran lunga superiori ai possibili benefici di un’azione “lubrificante” della macchina burocratica) che nel 2012 ha dato il via a una campagna anticorruzione di dimensioni storiche, con più di un milione di funzionari pubblici sotto inchiesta; il sostanziale fallimento della riforma della aziende di Stato che restano ampiamente inefficienti (un impiego del 70-80% degli assets per contribuire solo al 20-30% del PIL) pur continuando a rappresentare un enorme centro di potere, anche politico; e, last but non least, il profondo senso di insicurezza e di pressione esterna degli imprenditori privati i quali, anche in seguito alla campagna di moralizzazione della vita pubblica, hanno visto ridursi drasticamente quell’“area grigia” – né di illegalità né di perfetta legalità – in cui spesso dovevano muoversi. Un’area che in fondo era diventata un buon habitat per il business privato in un paese che vive (e cresce) da decenni con un’intrinseca contraddizione storica: quella tra uno Stato accentratore di stampo genuinamente comunista e un sistema economico che ha raggiunto forme di “estremismo” capitalista.

 

Se alla situazione interna – che secondo Sisci mostra aspetti simili a quelli che nel 1989 portarono alla rivolta di piazza Tienanmen – si aggiungono i precari equilibri geopolitici nel sud-est asiatico – la Cina ha difficili rapporti di vicinato con quasi tutti i paesi confinanti – e il braccio di ferro con gli USA di Trump su questioni strategiche come i dazi o la tutela della proprietà intellettuale, il quadro d’insieme può diventare inquietante. Troppe le variabili aperte e troppe le carte che la Cina tiene ancora coperte per fare previsioni attendibili. Di certo, il fatto che il presidente Xi Jinping, nel dichiararsi “pronto a tutto”, si sia rivolto alle forze armate può solo aumentare la preoccupazione. Ma, come sottolinea Sisci, “i cinesi sono più businessmen che guerrieri” e anche la loro forza economica, cosi dipendente dal commercio con l’estero, ha bisogno di un relativo equilibrio internazionale. Qualsiasi tipo di guerra si profili all’orizzonte c’è da sperare che la Cina sia “too big to fight”.

 

SDA Bocconi School of Management

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