Perotti, sulle rotte della crescita con passione e audacia

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Chi pensa che un imprenditore del lusso sia fondamentalmente un abile cultore della propria immagine dietro al quale si nasconde un freddo calcolatore di costi e marginalità, capace di miscelare “chimicamente” elementi materiali e immateriali per creare in laboratorio il successo del suo prodotto, dovrebbe conoscere Massimo Perotti, Amministratore delegato e azionista di maggioranza dei Cantieri navali Sanlorenzo, uno dei marchi di eccellenza a livello mondiale nella nautica da diporto e in particolare nella costruzione di superyacht, imbarcazioni superiori ai 24 metri.

Ciò che emerge da un incontro con Perotti – come quello avuto con gli studenti dell’MBA SDA Bocconi e il direttore Francesco Daveri in occasione delle Leadership Series – è dedizione autentica, passione contagiosa, capacità di vedere “oltre”. Certo, non mancano i numeri, gli aspetti produttivi, le strategie di mercato e i calcoli di opportunità che scandiscono la vita e le sorti di ogni azienda, ma il messaggio principale arriva al cuore prima che alla testa della platea. E per essere la presentazione di un “caso aziendale” non è affatto scontato.

Un’energia che attraversa tutta la sua storia di manager, prima, e di imprenditore, poi. Classe 1961, laurea in economia, Perotti inizia presto una brillante carriera in Azimut, azienda leader del settore nautico: dirigente a 27 anni, membro del Consiglio di amministrazione a 36, accompagna l’azienda in una crescita esponenziale che la porta a raggiungere un fatturato di 600 milioni di euro.

Poi il salto imprenditoriale: nel 2005, forte della sua robusta esperienza nel settore, Perotti decide di acquistare dal fondatore, Giovanni Jannetti, i Cantieri Sanlorenzo, di dimensioni nettamente inferiori, ma storici produttori di imbarcazioni top di gamma.

«È stato un po’ come ricominciare da capo», ricorda Perotti, «ero abituato a gestire commesse che da sole valevano 100 milioni di euro e mi ritrovavo in una azienda il cui fatturato complessivo arrivava a 40 milioni. Ma trascuravo una questione fondamentale: come manager fai parte di una squadra, da imprenditore sei solo, e questo cambia le regole del gioco. L’ho capito affiancando Jannetti per un intero anno: una condizione che ha posto lui stesso prima di vendermi l’azienda. Sulle prime ero stupito – avevo lavorato più di vent’anni in una società molto più grande e lui voleva che “imparassi il mestiere” – ma alla fine si è rivelata una decisione saggia. È stato forse l’anno più duro della mia vita, ma anche quello in cui ho imparato di più».

Imparare, la parola chiave di ogni successo. Per farlo servono una buona dose di umiltà, la disponibilità a vedere il mondo a cui sei abituato da un’altra prospettiva e, non ultimo, la capacità di riconoscere le persone che possono cambiarti la vita. È la prima lezione di Perotti alla platea di giovani manager.

Il secondo step della vita professionale del CEO di quella che ora è la Sanlorenzo S.p.a. è rappresentato dal passaggio da una family business a una big company. Il concetto portante di questa seconda fase è competitive edge: capire bene qual è il proprio potenziale di crescita rispetto ai competitor e saperlo sfruttare. «Quando sono arrivato, Sanlorenzo era un’azienda di dimensioni medio-piccole, con 75 dipendenti, ben consolidata su un mercato di fascia alta, ma limitato all’area del Mediterraneo», continua Perotti. «Crescere significava agire su diversi fronti: allargamento del mercato, ampliamento dell’offerta, aumento della capacità produttiva, incremento e sviluppo delle risorse umane. Il problema è che questi fattori di crescita sono concatenati tra loro e devi metterli in atto tutti insieme. E vi assicuro, non è solo questione di investimenti economici: bisogna lavorare, lavorare tantissimo».

Oggi, a 13 anni di distanza e dopo la grande crisi economica, Sanlorenzo vende in tutto il mondo attraverso una rete distributiva diretta, ha 4 cantieri dislocati tra La Spezia e Viareggio e un quinto in costruzione («perché il controllo della qualità, che per noi è fondamentale, significa anche integrazione tra le fasi produttive e la vicinanza degli impianti aiuta»), 8 differenti gamme con un gran numero di modelli tra yacht e superyacht.

Crescere significa anche prendere strade nuove e rischiare. È qui che entra in gioco il competitive edge: quello dei Cantieri Sanlorenzo stava già allora nello stile, nella produzione tailor-made e nella cura dei dettagli, tutte qualità della tradizione italiana apprezzata nel mondo. La gestione Perotti ha conservato e rafforzato questa tradizione e l’unicità dei suoi yacht – «Niente è come il tuo yacht Sanlorenzo. Nemmeno un altro Sanlorenzo», recita uno slogan della società – ma introducendo costantemente nuovi elementi. «La vera sfida è far convivere identità e innovazione. Dobbiamo essere capaci di rompere gli schemi e tuttavia rimanere sempre riconoscibili. Non è facile», ammette Perotti.

Non è facile in generale, e ancor meno in un settore come quello del lusso, generalmente “conservatore”. «Ma ci siamo riusciti», afferma il CEO senza nascondere un certo entusiasmo quando racconta delle soluzioni tecniche mutuate dalla produzione automobilistica per inserire anche sugli yacht i vetri curvi. «Abituati ai cristalli piatti e squadrati, i concorrenti scommettevano sul fallimento dell’operazione, sapendo che la rottura di un vetro per le sollecitazioni della navigazione su un natante da diversi milioni di euro avrebbe significato un crollo d’immagine per il brand. Ma non è andata così e la scelta si è rilevata vincente in termini di design e stile». E la sfida continua: ultima novità è il SL102, il primo yacht asimmetrico al mondo, pensato per ottenere una maggiore fruibilità degli spazi interni e una migliore comunicazione con l’esterno. E provare a cambiare la prospettiva sul mondo.

Ma all’origine di ogni successo c’è sempre un lavoro di squadra. È un punto che sta particolarmente a cuore a Perotti: «Il principale fattore di crescita di un azienda è rappresentato da chi ci lavora. In un mercato come il nostro dove la qualità è tutto dobbiamo avere le persone migliori, puntare sulla loro expertise e sul loro sviluppo. Dobbiamo coinvolgerle, imparare a delegare e a controllare i risultati, a comunicare e ad integrare le competenze. Negli ultimi anni quello sulle risorse umane è stato probabilmente il nostro investimento principale. Nel 2005 lavoravano per noi 350 persone, 90 assunti e 160 sub-contractor, oggi siamo a 1.600 persone, con 400 dipendenti. L’onorificenza di Cavaliere del Lavoro [ricevuta dal Presidente Mattarella nel 2017, n.d.r.] è dovuta anche al fatto che abbiamo attraversato gli anni della crisi senza sacrificare un solo posto di lavoro e senza ricorrere alla cassa integrazione. Se avete cura delle vostre persone loro sapranno ricompensarvi», conclude dissimulando un’ombra di commozione.

Un messaggio importante, soprattutto se viene da un imprenditore che ha portato la sua azienda tra le top 3 del settore a livello mondiale e si prepara a quotarsi in borsa. Un messaggio che riassume bene cosa significa – come sottolinea lui stesso citando Jack Welch, ex CEO di General Electric – «always think ahead».

 SDA Bocconi School of Management

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