“The Italian code” è un blog sul Made in Italy e sulle industrie ad alta intensità simbolica, coordinato da Gabriella Lojacono.
Pochi prodotti attraversano i confini in modo tanto naturale e desiderabile quanto il cibo italiano. Dalla pasta artigianale all’olio extravergine d’oliva di alta gamma, dai vini storici alla cultura dell’aperitivo, il mercato statunitense continua a mostrare un forte appetito per il Food & Beverage (F&B) italiano.
Eppure, nonostante il suo richiamo, entrare e crescere nel mercato F&B americano è tutt’altro che semplice. Le dinamiche culturali, le aspettative dei consumatori, le barriere normative e, soprattutto, un sistema distributivo altamente sofisticato e frammentato rendono quello statunitense uno dei mercati più attraenti, ma anche più complessi, per le imprese italiane.
Cosa fa sì che un prodotto risuoni con i consumatori americani? Quali aree offrono punti d’ingresso più accessibili e quali presentano invece maggiori complessità? E, soprattutto, che cosa serve davvero per avere successo?
Per esplorare queste domande, ci siamo rivolti a due esperti italiani di F&B che hanno saputo accompagnare con successo le aziende nella navigazione e nella crescita nel mercato statunitense. Ciò che rende la loro prospettiva particolarmente preziosa è la loro posizione unica: vivono e lavorano negli Stati Uniti, ma mantengono una profonda comprensione della cultura, dei valori e delle dinamiche imprenditoriali italiane. Abbiamo parlato con Giulia Angoscini, Director Marketing and Foodservice Sales, Rovagnati North America, e Giacomo Veraldi, Leader of Corporate Strategy, Marketing, Sales and R&D, Emmi Desserts, per scoprire quali lezioni offre il mercato americano alle aziende italiane del F&B che vogliono espandersi all’estero.
Ecco che cosa, secondo loro, conta di più per i brand italiani del F&B che vogliono entrare nel mercato statunitense.
Giulia Angoscini
Giacomo Veraldi
Nel panorama attuale del F&B americano, il successo non dipende più soltanto dal gusto: si tratta di appartenenza. I consumatori vogliono entrare a far parte di una comunità, non soltanto acquistare un prodotto. Cercano trasparenza, storytelling supportato da dati affidabili e una coerenza autentica tra ciò che un’azienda dichiara e ciò in cui realmente crede. Il consumatore americano moderno è curioso ed esigente: vuole sapere da dove proviene il suo cibo, come viene prodotto e se rispecchia i suoi valori.
I consumatori statunitensi desiderano esperienze sensoriali più che slogan pubblicitari, e premiano i brand capaci di trasformare l’autenticità in emozione.
Pochi Paesi sanno raccontare il cibo come l’Italia. Il mercato americano continua a rispondere con entusiasmo alle categorie tradizionali: formaggi, salumi, pasta, caffè, dolci iconici, vini e distillati che incarnano la cultura italiana della convivialità e del piacere.
Non si tratta solo dei prodotti in sé, ma dell’esperienza che rappresentano: un aperitivo al tramonto con uno spritz e un tagliere di salumi, un pranzo in famiglia, un rituale espresso sorseggiato da soli al bancone o con gli amici a colazione. Persino il gelato si è evoluto da “frozen dessert” a simbolo di uno stile di vita, con un significato culturale proprio e un’identità distinta dal semplice ice cream.
Alcune categorie si sono globalizzate — aceto, olio d’oliva o tonno in scatola — ma la vera opportunità risiede nei prodotti che restano inequivocabilmente legati all’identità italiana.
Sebbene l’indulgenza resti centrale nell’offerta italiana, la prossima frontiera è il well-being con carattere. Il mercato statunitense è pronto per prodotti che fondono radici tradizionali e mentalità “better-for-you”: piatti pronti “clean label,” freschi o surgelati, snack salati con ingredienti funzionali, creme spalmabili ispirate a ricette classiche ma reinventate per stili di vita moderni, bevande funzionali e a basso contenuto alcolico.
C’è anche spazio per valorizzare i classici italiani trasformandoli in “sapori” autonomi. Così come il tiramisù è passato da dolce a identità cross-category, ispirando caffè, gelati e perfino candele, altri sapori possono fare lo stesso. Si pensi al tartufo, che può diventare un gusto e non solo una prelibatezza. Quando la creatività italiana incontra l’adattamento culturale, nasce la magia.
Il mercato statunitense non è uno solo, ma molti. Le grandi aree metropolitane come New York, Boston, Chicago, Los Angeles, Miami e San Francisco restano i punti d’ingresso naturali per i brand italiani, ma sono anche le più sature.
Città emergenti come Phoenix, Austin, Dallas, Denver, Seattle, Raleigh o Nashville offrono terreno promettente, ma pongono sfide logistiche: reti distributive frammentate, sensibilità al prezzo e difficoltà di trasporto ancora maggiori per i prodotti deperibili.
Comprendere le differenze regionali è fondamentale: la East Coast tende a essere legata alla tradizione, la California è guidata da benessere e sostenibilità, mentre il Sud privilegia comfort, fusione di sapori e convivialità. Il tono di voce, il posizionamento del prodotto e le partnership devono adattarsi di conseguenza, pur mantenendo una forte identità di marca.
Per le aziende italiane, orientarsi nell’ecosistema distributivo statunitense può sembrare come decifrare un labirinto. Importatori, master distributor, broker e operatori regionali svolgono ciascuno un ruolo, spesso interconnesso ma raramente allineato. Nel canale wine & spirits, la struttura si fa ancora più intricata, influenzata dall’eredità duratura del Proibizionismo, che impone ancora oggi un sistema a tre livelli e regolamentazioni diverse da Stato a Stato, capaci di mettere alla prova anche gli esportatori più esperti.
Un equivoco ricorrente è considerare l’importatore come un cliente o un costruttore di marca; in realtà, è un ponte logistico, non necessariamente un partner di marketing. Il successo dipende dalla consapevolezza che il servizio viene prima di tutto e l’affidabilità è moneta. Portare il prodotto giusto nel canale giusto, che sia retail o foodservice, può determinare il destino di un’azienda più del prodotto stesso.
Troppe aziende italiane si avvicinano agli Stati Uniti con una fiducia mal riposta. Il “Made in Italy” non si vende più da solo. Il mercato americano è vasto, costoso e altamente competitivo. La compliance ai regolamenti è imprescindibile, i tempi sono più lunghi e le regole diverse da quelle della madrepatria.
Credere che gli Stati Uniti siano semplicemente “un’Italia più grande” è una ricetta per la delusione. Il successo richiede umiltà, competenza locale e una mentalità di lungo periodo.
Mettere nelle posizioni di vertice solo espatriati senza esperienza statunitense spesso crea distanza, non vicinanza. Combinare il know-how locale con l’autenticità italiana è la formula vincente.
Che l’obiettivo di un’azienda sia l’export strategico o la costruzione di un marchio, la sua struttura deve riflettere questa scelta. Un vero brand building negli Stati Uniti richiede infrastruttura locale, persone sul territorio e la capacità di rispondere a un mercato che si muove rapidamente.
Il mercato americano è veloce, con poco spazio per ritardi o decisioni che viaggiano lentamente tra i fusi orari. Le aziende italiane devono adattarsi a un contesto in cui la rapidità di risposta determina la credibilità, una dinamica che impone di bilanciare l’approccio riflessivo italiano con il ritmo operativo americano. Due interpretazioni distinte dell’urgenza possono convivere, ma prima devono comprendersi per collaborare efficacemente.
Una strategia basata sui dati è essenziale, ma deve integrarsi con intuizione ed esperienza. I numeri raccontano solo una parte della storia; il resto è scritto da chi conosce le sfumature del mercato. I migliori brand italiani bilanciano rigore analitico, empatia culturale e conoscenza del contesto.
Investire innanzitutto nel prodotto. Il gusto e la qualità restano la verità ultima di ogni marca. La conformità agli standard FDA e USDA è imprescindibile, e il packaging deve parlare la lingua del mercato senza perdere l’anima. Il prodotto è l’“eroe.”
Il brand building è un altro elemento irrinunciabile: richiede pazienza, coerenza e la consapevolezza che la notorietà precede la distribuzione. Infine, investire nelle persone: sono loro il ponte tra visione ed esecuzione.
Entrare nel mercato statunitense con consapevolezza non è per i deboli di cuore. Richiede resilienza, investimenti e il coraggio di dire no alle scorciatoie.
Arrivate con una mentalità da marca, non solo con un piano di esportazione. Costruite storie che viaggiano, team che si adattano e partnership che durano. L’America premia chi gioca sul lungo periodo e lo fa con coerenza, autenticità e cuore.
Giulia Angoscini è una dirigente marketing e vendite con una lunga esperienza nel settore internazionale del F&B, specializzata nel posizionamento di marchi italiani ed europei premium e heritage sul mercato statunitense. Basata a New York, attualmente ricopre il ruolo di Director of Marketing and Foodservice Sales per Rovagnati North America, con responsabilità in ambito di strategia e sviluppo del marchio, crescita delle vendite, category management ed espansione a lungo termine sul mercato. Orgogliosamente alumna di Università Bocconi e SDA Bocconi, Giulia crede che la crescita significativa avvenga là dove il rigore analitico incontra l’autenticità. Il suo lavoro è guidato dalla curiosità per il comportamento dei consumatori, dal rispetto per l’artigianalità e da una profonda sensibilità culturale, insieme all’ambizione di costruire ponti tra la tradizione italiana e il mercato statunitense.
Giacomo Veraldi è un dirigente con esperienza internazionale nel settore del food & beverage e una solida formazione accademica in management e marketing. In precedenza CEO di Ambrosi USA, oggi ricopre il ruolo di Executive Leader of Corporate Strategy, Marketing, Sales, and R&D presso Emmi Desserts USA. Diplomato allo Stanford Executive Program (SEP), Giacomo unisce visione strategica e leadership centrata sulla persona, mettendo in relazione il patrimonio europeo con la cultura d’impresa americana. Il suo lavoro si concentra sulla costruzione di organizzazioni orientate allo scopo, in cui autenticità, innovazione e sostenibilità guidano il successo a lungo termine.