Teoria in pratica

Decisioni aziendali e attivismo locale

Si è molto detto sull’effetto che le azioni delle comunità locali di attivisti hanno sulle decisioni aziendali in merito a temi socialmente controversi. Ma che cosa succederebbe se invertissimo la prospettiva? Una recente ricerca ha studiato gli effetti delle decisioni aziendali sull’impegno degli attivisti antinucleari negli Stati Uniti, traendone alcune interessanti conclusioni.

Il contesto

In che modo le decisioni strategiche delle aziende possono influenzare l’emergere e l’evolversi dell’attivismo? Per rispondere a questa domanda abbiamo condotto uno studio sulle proteste contro le centrali nucleari negli USA durante il periodo tra il 1960 e il 1995, con l’obiettivo di esaminare quale impatto possano avere le decisioni aziendali sulle proteste delle comunità locali. Nel 1958 la Pacific Gas & Electric (PG&E), grande società californiana di servizi elettrici, rese pubblici i suoi piani per la costruzione della prima centrale nucleare commerciale a Bodega Bay, un villaggio di pescatori a nord di San Francisco: subito si formò una vivace coalizione di attivisti locali che dopo sei anni di battaglie costrinse la PG&E ad abbandonare i suoi piani. Sulla scia di questo successo sorsero numerosi movimenti attivisti per fermare il nucleare in diverse altre località, tra cui Seabrook nel New Hampshire, dove la protesta non riuscì a fermare la costruzione dell’impianto (1986) ma fornì un modello per le azioni organizzate su larga scala usato anche in molte altre occasioni.

La ricerca

Lo studio conferma tre ipotesi di base. La prima è che, quando un’impresa decide di non realizzare un impianto già programmato, cresce l’attivismo antinucleare nelle comunità dei territori interessati. In questo caso la decisione aziendale è vista dagli attivisti come una propria vittoria: è probabile che, galvanizzati dal successo e dall’alta visibilità ottenuta, essi riescano più facilmente a convincere altri a unirsi alla loro protesta e così ad amplificarla. Un importante esempio di mobilitazione ebbe luogo nel 1974 a Montague, Massachusetts, dove Northeast Utilities aveva programmato di costruire una nuova centrale nucleare: un contadino del luogo sabotò la torre metereologica dell’impianto utilizzando i suoi attrezzi agricoli e si consegnò alle autorità, giustificando poi il suo operato con una dichiarazione di quattro pagine. Ottenne l’effetto di smuovere la comunità locale, che riuscì a far rimandare a data da destinarsi la costruzione dell’impianto, poi definitivamente accantonata nel 1980.

In base alla seconda ipotesi, un’azienda che porta a termine un nuovo impianto nucleare precedentemente programmato si troverà ad affrontare nelle comunità locali una protesta ridotta. In questo caso, la decisione aziendale è vissuta come una sconfitta dagli attivisti, con una conseguente perdita di fiducia derivante dal mancato raggiungimento degli obiettivi dichiarati e dall’esacerbarsi dei problemi organizzativi della protesta. Si è assistito a una simile dinamica nel Regno Unito durante gli scioperi dei minatori del 1984, quando la maggior parte di loro respinse la chiamata allo sciopero e continuò a lavorare, tanto che la fine formale dello sciopero nel marzo del 1985 segnò la sconfitta della National Union of Mineworkers. A livello generale si potrebbe sostenere che davanti a una sconfitta significativa gli attivisti rischiano di perdere fiducia nel movimento e nella sua capacità di promuovere un cambiamento, con conseguente smobilitazione.

Secondo la terza e ultima ipotesi, se un’azienda porta a termine un nuovo impianto nucleare precedentemente programmato la protesta si estenderà alle comunità vicine su tematiche differenti. Quando emergono nuovi motivi di protesta, gli individui che già in passato avevano preso parte a mobilitazioni sociali sono più inclini a riattivarsi e a dirigere i loro sforzi verso nuove cause. Questo fenomeno è evidente in Francia, il Paese che dal 2017 più di qualunque altro al mondo si affida al nucleare, da cui deriva il 72 per cento della sua produzione totale di energia elettrica: poiché la protesta non è riuscita a fermare il programma nucleare nazionale, molti attivisti alla fine hanno creato nuove organizzazioni per combattere a favore delle cause ambientaliste, femministe, pacifiste ecc. Di fatto, la protesta antinucleare è servita loro come incubatrice.

Lo studio quantitativo è stato condotto sulla base di dati provenienti da numerose fonti: informazioni su tutte le contee degli Stati Uniti tratte da diversi edizioni del «City and County Data Book» compilato dall’U.S. Census Bureau, geocodificate individualmente per assegnare a ciascuna un centro approssimativo; informazioni sulle proposte di costruzione di impianti nucleari ottenute sia dal database online gestito dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica sia da documenti storici; infine dati sulle proteste locali ottenuti da un database creato dall’Università di Stanford e basato su tutti i numeri del New York Times pubblicati nel periodo considerato. Il campione selezionato su cui è stato condotto lo studio comprende 58.734 osservazioni relative a 2.025 contee a rischio di mobilitazione antinucleare nel periodo 1960-1995.

Conclusioni e implicazioni

Mentre la maggior parte delle ricerche relative a questo tema si focalizza su come le imprese reagiscono alle proteste delle comunità locali, questo studio si concentra invece sull’influenza che le decisioni strategiche aziendali possono avere sull’attivismo come punto di svolta dei conflitti sociali. Viene dimostrato che la decisione di annullare una proposta nucleare porta a una crescita del movimento antinucleare, poiché il successo galvanizza gli attivisti e spiana la strada a ulteriori proteste. Il completamento di una centrale nucleare innesca invece due diversi fenomeni, entrambi associati alla sconfitta della protesta antinucleare: una locale diminuzione delle mobilitazioni e l’aumento dell’attivismo relativo ad altre questioni sociali.

Come i grandi maestri di scacchi che giocano simultaneamente molte partite, anche le aziende con più sedi o che perseguono progetti diversi dovrebbero quindi considerare che le loro decisioni potrebbero causare una mobilitazione al di là del progetto principale, soprattutto in contesti dove l’attivismo della comunità locale è già stato significativo. Le strategie aziendali possono essere utilizzate dagli attivisti anche come spunti per plasmare l’evoluzione della protesta locale: poiché le vittorie possono avere forti effetti sulla mobilitazione futura, gli attivisti dovrebbero scegliere saggiamente i propri obiettivi, magari selezionando quelli con maggiori probabilità di sconfitta. Nel caso in cui gli obiettivi non vengano raggiunti, la protesta continua solo se il movimento dilaga, cioè se gli attivisti trovano collaborazione in altri movimenti e per cause affini.

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