Lo studio conferma tre ipotesi di base. La prima è che, quando un’impresa decide di non realizzare un impianto già programmato, cresce l’attivismo antinucleare nelle comunità dei territori interessati. In questo caso la decisione aziendale è vista dagli attivisti come una propria vittoria: è probabile che, galvanizzati dal successo e dall’alta visibilità ottenuta, essi riescano più facilmente a convincere altri a unirsi alla loro protesta e così ad amplificarla. Un importante esempio di mobilitazione ebbe luogo nel 1974 a Montague, Massachusetts, dove Northeast Utilities aveva programmato di costruire una nuova centrale nucleare: un contadino del luogo sabotò la torre metereologica dell’impianto utilizzando i suoi attrezzi agricoli e si consegnò alle autorità, giustificando poi il suo operato con una dichiarazione di quattro pagine. Ottenne l’effetto di smuovere la comunità locale, che riuscì a far rimandare a data da destinarsi la costruzione dell’impianto, poi definitivamente accantonata nel 1980.
In base alla seconda ipotesi, un’azienda che porta a termine un nuovo impianto nucleare precedentemente programmato si troverà ad affrontare nelle comunità locali una protesta ridotta. In questo caso, la decisione aziendale è vissuta come una sconfitta dagli attivisti, con una conseguente perdita di fiducia derivante dal mancato raggiungimento degli obiettivi dichiarati e dall’esacerbarsi dei problemi organizzativi della protesta. Si è assistito a una simile dinamica nel Regno Unito durante gli scioperi dei minatori del 1984, quando la maggior parte di loro respinse la chiamata allo sciopero e continuò a lavorare, tanto che la fine formale dello sciopero nel marzo del 1985 segnò la sconfitta della National Union of Mineworkers. A livello generale si potrebbe sostenere che davanti a una sconfitta significativa gli attivisti rischiano di perdere fiducia nel movimento e nella sua capacità di promuovere un cambiamento, con conseguente smobilitazione.
Secondo la terza e ultima ipotesi, se un’azienda porta a termine un nuovo impianto nucleare precedentemente programmato la protesta si estenderà alle comunità vicine su tematiche differenti. Quando emergono nuovi motivi di protesta, gli individui che già in passato avevano preso parte a mobilitazioni sociali sono più inclini a riattivarsi e a dirigere i loro sforzi verso nuove cause. Questo fenomeno è evidente in Francia, il Paese che dal 2017 più di qualunque altro al mondo si affida al nucleare, da cui deriva il 72 per cento della sua produzione totale di energia elettrica: poiché la protesta non è riuscita a fermare il programma nucleare nazionale, molti attivisti alla fine hanno creato nuove organizzazioni per combattere a favore delle cause ambientaliste, femministe, pacifiste ecc. Di fatto, la protesta antinucleare è servita loro come incubatrice.
Lo studio quantitativo è stato condotto sulla base di dati provenienti da numerose fonti: informazioni su tutte le contee degli Stati Uniti tratte da diversi edizioni del «City and County Data Book» compilato dall’U.S. Census Bureau, geocodificate individualmente per assegnare a ciascuna un centro approssimativo; informazioni sulle proposte di costruzione di impianti nucleari ottenute sia dal database online gestito dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica sia da documenti storici; infine dati sulle proteste locali ottenuti da un database creato dall’Università di Stanford e basato su tutti i numeri del New York Times pubblicati nel periodo considerato. Il campione selezionato su cui è stato condotto lo studio comprende 58.734 osservazioni relative a 2.025 contee a rischio di mobilitazione antinucleare nel periodo 1960-1995.