Teoria in pratica

Le quote di genere: costi o benefici?

Il contesto

Il termine «soffitto di vetro» (glass ceiling, in inglese) descrive un fenomeno ancora prevalente nelle nostre società: si tratta della barriera invisibile che impedisce alle donne di fare carriera e raggiungere i vertici. È ormai riconosciuto che, anche nei Paesi in cui le donne sono più presenti sul mercato del lavoro, solo una minoranza arriva ad occupare posizioni apicali.  

 

Per accelerare il raggiungimento dell’obiettivo della parità di genere, almeno sul piano economico, negli ultimi vent’anni diversi Paesi hanno proposto l’adozione di misure relative alle quote di genere. Nel 2005, la Norvegia ha aperto la strada all’introduzione delle quote minime di genere nei consigli di amministrazione, seguita in Europa da Italia, Francia e Germania. Negli Stati Uniti, il governo della California è stato il primo, nel 2018, ad approvare un disegno di legge per l’inclusione delle donne nei consigli di amministrazione delle società pubbliche.  

 

All’epoca dell’introduzione di queste misure, il timore di non riuscire a reclutare donne abbastanza qualificate, portando così a effetti sfavorevoli sulle performance societarie con conseguenti reazioni negative del mercato azionario, era piuttosto diffuso. Quello che finora si sa sugli impatti delle quote di genere nei consigli di amministrazione è basato sull’esperienza della Norvegia, dove nel 2003 fu approvata una legge che imponeva alle società quotate che ciascun genere fosse rappresentato all’interno dei consigli di amministrazione almeno per il 40 per cento.  

 

In un contesto diverso, la Spagna ha adottato un approccio su base volontaria che prevedeva un incentivo economico a conformarsi, senza tuttavia imporre sanzioni alle imprese non conformi, che non ha permesso di raggiungere l’obiettivo di promuovere l’equilibrio di genere. L’analisi di un caso diverso si rende quindi necessaria per valutare gli effetti delle quote di genere nei consigli di amministrazione in una prospettiva generale.  

 

Il caso italiano offre un’occasione unica e innovativa per trarre il bilancio economico degli effetti delle quote di genere nei consigli di amministrazione: nei dieci anni precedenti la loro introduzione, infatti, la partecipazione femminile alla forza lavoro era rimasta stabile intorno al 48 per cento, il valore più basso in Europa dopo Malta, contro una media europea del 60 per cento. In questo contesto, la politica delle quote di genere sembrava l’unico modo possibile per avviare il processo verso la parità. Ma a quale costo? 

La ricerca

Questo studio analizza l’introduzione delle quote di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate in Italia, dove nel 2011 la cosiddetta legge «Golfo-Mosca» ha imposto il raggiungimento dell’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società pubbliche quotate in Borsa, pena lo scioglimento degli organi.  

 

A differenza della Norvegia, in Italia le quote sono state introdotte per un periodo di tempo limitato e l’obiettivo di rappresentanza obbligatoria di genere è stata fissata per tutte le società a un quinto (20 per cento) per la prima elezione del consiglio di amministrazione che avesse avuto luogo dopo il mese di agosto 2012, da portare a un terzo per le successive due elezioni. Nel 2019 la legge è stata estesa per ulteriori tre elezioni con un aumento della quota fino al 40 per cento.  

 

La CONSOB fornisce i nomi dei 4.732 membri dei consigli d’amministrazione e sindaci delle 243 società italiane quotate nel periodo 2007-2014. Per avere informazioni dettagliate sulle caratteristiche di consiglieri e sindaci i dati sono stati raccolti manualmente dai curriculum individuali. Questi dati sono stati aggregati con le caratteristiche del consiglio: presenza femminile (come distanza dall’obiettivo di legge del 20 per cento e come presenza di donne nei ruoli di presidente e di amministratore delegato), percentuale di laureati e relative discipline, presenza di consiglieri di età inferiore ai 55 anni, percentuale di membri appartenenti alla famiglia del proprietario, numero di cariche sociali ricoperte da ciascun consigliere contemporaneamente. Sono poi stati raccolti dati sulla performance di ogni azienda nel periodo 2011-2015, suddividendole in quattro settori: beni di consumo, finanza, industria e altro.  

 

L’analisi dell’impatto della legge sulle caratteristiche dei componenti dei consigli di amministrazione ha portato a determinare innanzitutto un aumento della quota di donne ai vertici compreso tra l’11 per cento e il 16 per cento. In secondo luogo, è stato registrato un aumento generale del numero di consiglieri laureati compreso tra il 2,5 per cento e il 4 per cento: si tratta di un dato particolarmente significativo visto che la media anteriforma era pari al 7,5 per cento. Si è registrato anche un aumento di laureati all’estero, un incremento di consiglieri con titoli post-laurea e una più giovane età.  

 

Una delle principali preoccupazioni nei confronti dell’introduzione di una legge sulla quota di genere riguardava il rischio di nominare donne legate alla famiglia del proprietario ma prive delle necessarie qualifiche: i fatti sembrano però smentire tale preoccupazione.  

 

Passando all’analisi degli effetti delle quote di genere sui risultati economici e finanziari aziendali, sono state considerate le misure classiche di performance aziendale (come numero di dipendenti, attività, produzione, profitti, ecc.), nonché la volatilità del titolo al momento dell’annuncio dell’introduzione della legge e poi in occasione delle elezioni dei nuovi consigli di amministrazione. Dall’analisi non è emersa alcuna significativa relazione negativa tra la percentuale di donne al vertice e le performance aziendali. È però emersa una riduzione della volatilità del titolo e un effetto positivo sui rendimenti delle azioni nel momento delle elezioni con le quote.  

Conclusioni e implicazioni

Lo studio analizza gli effetti dell’introduzione della legge sulle quote di genere nei consigli di amministrazione delle società italiane quotate, secondo diverse dimensioni, con l’obiettivo di rispondere a tre quesiti fondamentali: come si modificano composizione e caratteristiche dei consigli di amministrazione dopo l’introduzione della riforma sulle quote di genere? Come cambiano i risultati delle imprese? Come reagisce il mercato azionario all’approvazione e all’attuazione della riforma?  

 

È emerso che, quando vengono applicate le quote di genere, le imprese hanno consigli di amministrazione caratterizzati non solo da una più forte componente femminile (una quota ben superiore al 20 per cento previsto per legge), ma anche da membri più giovani e con una formazione superiore: le quote di genere sembrano quindi modificare il processo di selezione in generale. Inoltre, la presenza di donne ai vertici non è associata a significativi effetti di breve termine sulla performance aziendale ma sembra anzi ridurre la variabilità dei prezzi delle azioni, un elemento cruciale della performance per le società quotate. 

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