Sotto la lente

Il futuro di internet tra Metaverso e web3

Partiamo da ciò che davvero influenza le scelte nel mondo del business: i numeri. Dall’analisi annuale «Follow the Money» condotta dal DEVO Lab di SDA Bocconi, emerge in modo chiaro come i due concetti alla base della nuova evoluzione della rete, il Metaverso e il web3, siano in grado di attirare non solo l’attenzione mediatica, ma anche consistenti investimenti finanziari. A livello globale, le aziende e start-up operanti su tecnologie per il Metaverso hanno attirato nel solo ultimo trimestre del 2021 oltre 430 milioni di dollari di investimento, rispetto ai complessivi 11 milioni del 2020. L’83 per cento degli investimenti del 2021 si concentrano a partire dal mese di ottobre, ossia in concomitanza con l’ormai famoso rebranding di Facebook in Meta. Parallelamente, poiché i due temi sono spesso legati nella discussione manageriale, è partito un trend di investimento in aziende specializzate su tecnologie del web3 che ha visto una crescita del 142 per cento fra tutto il 2021 e il primo trimestre 2022, raggiungendo gli oltre 380 milioni di dollari da gennaio a marzo 2022, contro i 157 milioni totali dell’anno precedente.

Ma dove sono diretti questi investimenti? Ad attirare l’attenzione degli investitori nelle fasi di Early Stage, Seed e ICO (Initial Coin Offering) sono aziende del Metaverso come NAVERZ, una piattaforma per disegnare mondi 3D, riempirli di oggetti virtuali e lanciare live stream per interagire fra utenti; oppure Inworld AI, una piattaforma per la creazione di avatar e personaggi mossi da intelligenza artificiale; o ancora Space, una piattaforma che combina commercio digitale e socializzazione secondo i paradigmi esperienziali immersivi del Metaverso. Sul fronte web3, l’interesse si sposta su uno strato più infrastrutturale di tecnologie, con aziende come Mina, The Graph e QuickNode impegnate a costruire protocolli scalabili per gettare le fondamenta del nuovo web.

Soffermandoci sull’attuale dibattito manageriale, un problema evidente è che i concetti di Metaverso e web3 tendono a essere ormai sovrapposti e utilizzati in modo intercambiabile per caratterizzare l’attuale fase di evoluzione di internet. Vedere il web3 come nuova fase del web – dopo la nascita e crescita di internet (anni Ottanta e Novanta) e l’affermazione dei paradigmi del web 2.0 (dal 2004 a oggi) e collocare i mondi virtuali immersivi del Metaverso nella nuova accezione – rappresenta tuttavia una ipersemplificazione, che può portare le aziende a sovrastimare alcune opportunità, così come a sottostimare alcuni rischi. Aprire uno spazio virtuale immersivo su Roblox, la piattaforma di riferimento per la generazione Alpha, non significa necessariamente entrare nel web3, così come acquistare un NFT non ci fa essere cittadini del Metaverso. Per comprendere meglio come i due concetti tecnologici si legano e possono essere sfruttati, singolarmente o in associazione, così come quali rischi ne possono derivare, è bene focalizzarsi sulle rispettive definizioni e, soprattutto, sul valore che ognuno può portare.

Il termine Metaverso è stato coniato da Neal Stephenson nel romanzo Snow Crash nel 1992 per indicare uno spazio tridimensionale all'interno del quale persone fisiche possono muoversi, condividere esperienze e interagire attraverso avatar personalizzati. A oggi, il termine Metaverso viene utilizzato per indicare, in senso più ampio, un’esperienza interattiva, avanzata ed immersiva, in cui gli utenti possono socializzare, ricevere formazione professionale, giocare, seguire lezioni, partecipare a riunioni, fare esperienze culturali e tanto altro. Molte sono le tecnologie che abilitano questo tipo di esperienze – per esempio, grafica virtuale avanzata, computer vision, e data analytics. Tra tutte, senza dubbio, un ruolo fondamentale è giocato dalla realtà virtuale (o VR) che abilita proprio l’accessibilità immersiva a questi nuovi mondi virtuali.

Il termine web3 è stato coniato nel 2014 da Gavin Wood, co-fondatore di Ethereum e sviluppatore di Polkadot. Il web3 punta a diventare una nuova rete internet decentralizzata grazie all’impiego della blockchain, l’infrastruttura tecnologica su cui si fonda Bitcoin e altre criptovalute. Nel web3 i dati non risiederebbero più su una rete di server centralizzati, ma sarebbero disseminati in maniera omogenea su tutta la rete. Questa necessità nasce da un’evidenza molto pragmatica. Attualmente, le informazioni scambiate tramite internet sono tracciate da alcuni noti tecno-giganti (soprattutto dai famosi GAFA-Google, Apple, Facebook e Amazon) e i livelli di privacy garantiti agli utenti sono molto limitati. Avere a disposizione un web più aperto e democratico è la molla che spinge molti tecno-utopisti a puntare sul web3. Un cyberspazio che dovrebbe restituire a internet quella natura di ambiente aperto, incontrollabile e accessibile a tutti, rispolverando le promesse iniziali degli anni Novanta, poi infrantesi in una struttura oligarchica controllata da attori ben noti.

Le implicazioni di queste iniziali riflessioni per le aziende e i manager che si affacciano a questi temi sono molte. Su tutte, è necessario che le valutazioni iniziali di nuovi use case legati a questi paradigmi avvengano proprio sulle direttrici di livello di decentralizzazione dell’infrastruttura (web3) e livello di immersività dell’esperienza (Metaverso), ponderando queste caratteristiche in base a obiettivi aziendali e necessità degli utenti target. Non esiste a oggi un approccio prevalente, sarà piuttosto interessante vedere quali logiche si affermeranno nei prossimi anni.

Va tuttavia detto che ai benefici di un’esperienza immersiva o di un’infrastruttura decentralizzata corrispondono dei rischi. Nel caso della decentralizzazione, i rischi passano soprattutto dalla limitata scalabilità e dall’assenza di governo e controllo. Per l’immersività, non va dimenticato che il livello di maturità delle tecnologie abilitanti, VR su tutte, è ancora in evoluzione e non completamente adeguato a supportare la vision di lungo termine di molti casi d’uso.

Queste considerazioni devono aiutarci a evitare che si riverifichi ciò che è successo negli anni Duemila con l’esperimento di Second Life, che, dopo un iniziale momento di euforia, si è fortemente ridimensionato proprio per la mancanza di una purpose forte del progetto in grado di intercettare reali necessità degli utenti.

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