
- Data inizio
- Durata
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- 15 Mag 2025
- 4,5 giorni
- Class
- Italiano
Acquisire modelli di lettura e analisi del cambiamento in azienda e proporre metodologie di intervento per trasformare le visioni strategiche in risultati concreti.
L’inflazione è sensibilmente cresciuta in questo (purtroppo) esplosivo inizio di anno. In Europa e in Italia a febbraio ha raggiunto quasi il 6%, sorprendendo al rialzo le aspettative degli analisti ferme a poco oltre il 5%. L’aumento è per ora coerente con quanto previsto dalla Banca Centrale Europea (BCE), che a fine 2021 aveva previsto un valore superiore al 3% per l’anno successivo. In un certo senso, il 2022 sarà un anno perso dal punto di vista della lotta all’aumento dei prezzi, ma si tratta di un’informazione già nota dall’estate 2021.
La vera battaglia, per continuare a usare purtroppo un termine legato all’attuale situazione internazionale, è sul 2023, anno in cui la BCE continua a prevedere un dato che rientra nel target del 2%. Le motivazioni strutturali addotte dalla BCE nel dicembre 2021 per giustificare tale scenario riposavano su una combinazione di elementi legati all’offerta e alla domanda. Lato offerta, si ipotizzava che una migliore gestione degli effetti della pandemia avrebbe consentito alla value chain globale di dispiegare i suoi effetti deflazionistici senza più interruzioni alla catena delle forniture (consentendo per esempio all’artigiano italiano di riprendere a utilizzare le materie prime provenienti dal Vietnam per consegnare nei tempi richiesti dai clienti prodotti pieni di fantasia, creatività e qualità). Sempre lato offerta, si ipotizzava che la disciplina sociale avrebbe impedito il riavvio su larga scala dei meccanismi di indicizzazione salariale che, in Europa, avevano reso il controllo dell’inflazione così difficile negli anni Ottanta del secolo scorso. Lato domanda, si ipotizzava che il graduale riassorbimento della crescita avrebbe causato meno occasioni in cui i produttori potevano applicare il loro pricing power.
Fino a questo momento, possiamo dire che la scommessa della BCE ha pagato: il caffè costa ancora 1 euro nella maggior parte dei bar. Questo è molto positivo per tutta l’Europa, ma indispensabile per l’Italia che può continuare a finanziare il proprio debito pubblico in un regime ovattato dal punto di vista del costo. Allo stesso tempo, lo shock inflazionistico del 2021-2022 è funzionale alla riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo. Possiamo continuare a spendere in disavanzo senza far esplodere la situazione macroeconomica sfruttando il trasferimento di potere d’acquisto dai detentori di obbligazioni alla collettività nel suo complesso. Ma ci sono due domande rilevanti da porsi: quale sarà l’impatto dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia? E come modificherà le prospettive per il vero obiettivo della BCE, vale a dire il contenimento al 2% dell’inflazione nel 2023?
La guerra in Ucraina ha effetti misti ma prevalentemente inflattivi. Da un certo punto di vista rappresenta uno shock negativo che raffredda la domanda di consumo e investimento e che quindi riduce l’inflazione. Dall’altra, riducendo l’offerta di petrolio, aumenta i prezzi delle materie prime e i costi aziendali, e spinge chi può ad adeguare i prezzi di vendita (se il caffè costa sempre 1 euro, il litro di benzina ne costa 2). I danni potrebbero essere rilevanti per un periodo prolungato, dato che le sanzioni imposte alla Russia non potranno certo essere eliminate nel giro di poche settimane e questo potrebbe mantenere un elevato scenario di inflazione. Il tempo per la BCE ha cominciato a scorrere più in fretta.
Una delle più gravi accuse che si possano fare alle banche centrali è quella di essere behind the curve e quindi di non alzare i tassi abbastanza in fretta e di un importo abbastanza ampio per contenere il surriscaldamento dell’economia. Se si dimostrano fondate, le accuse si tramutano molto rapidamente in un problema di credibilità della banca centrale. L’ampliamento degli scenari possibili per il 2023, quindi, è un’incognita significativa per la BCE. Se agisce in fretta e alza i tassi rischia di accelerare l’aspetto di stagnazione in un momento in cui l’economia già si indebolisce e rischia la recessione, con l’ulteriore problema (tutto europeo) di rendere meno sostenibile il debito pubblico di tutti i Paesi. Se è troppo lenta e l’inflazione anche nel 2023 si conferma superiore all’obiettivo del 2%, rischia di dover aumentare i tassi in modo eccessivo in futuro, creando le stesse difficoltà macroeconomiche che sta cercando di evitare.
Le prospettive europee sono quindi significativamente peggiorate? Non è detto. Già in passato, l’Europa ha dato il meglio di sé nel cercare di superare i momenti di crisi: l’euro è nato dal sogno dei padri fondatori; la regolamentazione bancaria europea dalla gestione della crisi seguente al fallimento di Lehman Brothers; la nuova interpretazione della politica monetaria dall’esigenza di fare qualsiasi cosa fosse necessaria per mantenere l’euro; le riforme strutturali dalla necessità di superare gli strascichi della pandemia e di impiegare al meglio le risorse prese a prestito. Questa potrebbe essere la volta buona per ulteriori passi avanti, per esempio per una migliore gestione della difesa comune e per una migliore politica energetica. Putin ci ha ricordato che anche nel 2022 rimane (purtroppo) l’esigenza di difendersi dagli aggressori e di avere una voce comune. Inoltre, questo episodio ricorda a tutti noi che la transizione energetica verso le energie pulite deve essere concretamente vista alla luce delle esigenze economiche di mezzo miliardo di persone, nella consapevolezza che l’indipendenza degli approvvigionamenti è anche sinonimo di libertà, e che per modificare la produzione di energia di un continente occorre una pianificazione di decenni e non di anni.
Lo scenario virtuoso prevede quindi un passo avanti verso gli Stati Uniti d’Europa, nel contesto di un rinforzo dell’alleanza con i Paesi democratici, ma anche allo stesso tempo un maggiore sforzo di apertura culturale verso altri modi di vivere. Come ricordato nel gennaio 2022 dal professor Bazoli nella Leader Serie Series dell’Executive Master in Finance di SDA Bocconi, l’Occidente ha vinto la guerra con l’Unione Sovietica ma non ha saputo creare le condizioni per il riconoscimento delle diversità nel contesto della cooperazione, indicando con chiarezza che per evitare l’innalzamento di altri muri occorre rispettare le esigenze di tutti, rimanendo fermi nell’adesione ai propri principi morali, ma ricordando che l’obiettivo non è la distruzione del nemico, ma la creazione di un quadro istituzionale sostenibile che aiuti tutti a crescere e prosperare in un contesto di pace.