Sotto la lente

Il turismo italiano sta bene, ma potrebbe stare meglio

Come emerso alla BIT 2020 - Travel exhibition Milano, nonostante i buoni risultati fatti segnare negli ultimi anni, l’intero comparto è chiamato alla sfida della sostenibilità, dell’accessibilità e dell’innovazione tecnologica, senza trascurare la deconcentrazione stagionale

 

Guardando al turismo italiano in un’ottica di opportunità, sfide e ambizioni, vengono subito all’occhio alcuni tratti distintivi che ne hanno connotato l’evoluzione negli ultimi anni. Grazie a nuovi itinerari e motivazioni di viaggio, il nostro Paese piace sempre di più agli stranieri e ai mercati emergenti. Il brand Italia soddisfa questi nuovi trend di domanda con una performance di estremo rilievo: il turismo straniero ha sorpassato quello nostrano (attestandosi al 50,5 per cento del totale), con 217 milioni di notti trascorse in Italia e una spesa complessiva di 42 miliardi di euro. Nel 2019, la crescita registrata sui dati di valore rispetto all’anno precedente è stata circa del 7 per cento. Inoltre, l’Italia supera la Francia per numero di visitatori provenienti dai mercati extraeuropei e si colloca al primo posto nelle destinazioni mondiali dei viaggi di lusso, primato ribadito anche nel segmento millennials, famiglie e viaggi di nozze.

Nonostante nell’ultimo biennio l’enogastronomia abbia riportato tassi di crescita esplosivi, per tipologia di vacanza il turismo culturale rappresenta il segmento più rilevante e a maggior spesa. Questo ha osservato una crescita più sostenuta nei piccoli centri e nelle città d’arte considerate minori. Un dato che si spiega facilmente se si considera che nei 5570 borghi italiani – entità con meno di 5000 abitanti – si colloca il 64 per cento dei 55 siti UNESCO del nostro Paese e che queste realtà offrono 56.000 alloggi per un totale di 1,4 milioni di posti letto, pari a più del 27 per cento del turismo nazionale.

Alcuni segmenti tradizionali, quali il balneare – motore per decenni dello sviluppo turistico italiano – e il montano, pur presentando in certe aree segni di declino, vivono una «seconda giovinezza» grazie a manifestazioni sportive, enogastronomiche e del benessere della persona in grado di soddisfare le diverse richieste del turista contemporaneo (pensiamo alla Riviera romagnola, sempre all’avanguardia nei nuovi prodotti, ma anche a certe aree del Veneto e del meridione d’Italia, Puglia in primis).

In sintesi, il turismo italiano è agevolato dalla nuova concezione di vacanza in cui la scelta della meta è sì dettata dalle motivazioni personali e dalla qualità delle destinazioni, ma a queste si legano sempre più la realizzazione di se stessi, il bisogno di fare esperienze uniche, la ricercare di autenticità, il contatto con un mondo, presente e passato, completamente distante da quello di appartenenza. Per tutti questi motivi, la spesa turistica che incontra risposte a tali esigenze ha registrato una notevole crescita.

Dando uno sguardo più da vicino anche all’offerta, con quasi 33.000 strutture e 1.100.000 camere l’Italia è il primo paese per numero di alberghi in Europa e il quarto nel mondo, dietro solamente a Stati Uniti, Cina e Giappone, con una quota di mercato a livello globale del 5,6 per cento.

Tralasciando la categorizzazione tra settore alberghiero ed extralberghiero, che comunque implica politiche di gestione e regolamentazione ad hoc, negli ultimi anni si sta assistendo a un upgrade dell’offerta, tanto per riconversione di vecchie strutture quanto per costruzione di nuove. Al rapido sviluppo delle catene alberghiere, in buona parte estere, si è affiancato un processo di riqualificazione delle strutture indipendenti, di più piccole dimensioni, che si caratterizzano per la componente umana del servizio e l’appartenenza alle tipicità del territorio. I grandi operatori si concentrano soprattutto su tre tipologie di investimenti: hotel iconici di alta gamma, recupero del patrimonio storico (dimore, chiese, conventi) in chiave hospitality e rinascita dei resort, sia in destinazioni leisure sia in prossimità di centri urbani. Le nuove strutture sono sempre più costruite con attenzione al design, in dialogo con il territorio e con elementi di italianità (anche nella ristorazione con la presenza di chef stellati). Fattori che esaltano il vantaggio competitivo domestico.

Va segnalato, infine, un notevole segno di crescita sia degli investimenti in campo alberghiero (raddoppiati nell’ultimo quinquennio), sia del numero di transazioni da parte di investitori professionali, quali fondi o investitori istituzionali. Le grandi città continuano a rappresentare le piazze principali, anche se oltre un terzo degli investimenti riguarda destinazioni prettamente leisure. Inoltre, oltre la metà di questi proviene dall’estero e il 25 per cento è di origine extraeuropea.

Per concludere, nonostante questa evoluzione positiva del comparto l’industria turistica italiana ha ancora molto da fare. Le parole chiave del futuro prossimo saranno: una crescente esigenza di sostenibilità, il potenziamento dell’accessibilità e dell’innovazione tecnologica, senza però trascurare la deconcentrazione stagionale. La sostenibilità ambientale va pensata sia in termini di esigenza della domanda di tutti i prodotti turistici, sia quale premium price a tutto tondo per l’offerta. L’accessibilità riguarda lo sviluppo della rete dei trasporti e dei servizi, nonché l’intermodalità per raggiungere mete più isolate. L’innovazione va intesa sia a livello di strumenti di efficienza gestionale, sia a livello di comunicazione e condivisione, ma anche come elemento di promozione del sistema Paese a cui le informazioni fornite dai big data potranno contribuire.

La valorizzazione e il posizionamento competitivo dell’Italia – intesa come meta turistica mondiale – possono trarre notevoli benefici solo se inseriti nel più ampio contesto del sistema-Paese e del made in Italy, uscendo da campanilisimi sempre più sterili ma supportati finalmente da politiche unitarie e condivise.

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