Sotto la lente

A che punto siamo con il PNRR

A seguito dello shock economico indotto dalla pandemia di Covid-19 l’Europa, come è noto, è riuscita a trovare il consenso per un passo storico, ossia la messa in comune di debito europeo per reperire risorse finalizzate a sostenere gli Stati membri maggiormente colpiti dalla crisi. Lo strumento, tecnicamente una linea aggiuntiva del bilancio comunitario, è stato chiamato Next Generation EU (NGEU). Tuttavia, oggi tutti parlano di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e non di NGEU. Perché? 

Iniziamo da cosa non è il PNRR. Il PNRR non è il NGEU. Il NGEU è il generale piano di sostegno da 750 miliardi di euro (il 70% dei quali da impegnare entro il 2022 e i restanti entro il 2026, da ripagare entro il 2058) offerto dalla Commissione Europea (CE) agli Stati membri per la ripresa post-pandemica.  

Dei 750 miliardi, circa 360 sono prestiti che vanno ad aumentare il debito pubblico dello Stato membro che li riceve, il quale li ripaga nel tempo; 390 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto che non aumentano il debito pubblico e vengono ripagati dalla CE con le sue risorse, quindi in piccola parte anche dallo Stato membro che li riceve.  

Queste due tipologie di supporto sono articolate in due strumenti: quasi il 90% delle risorse si concentrano nel Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (Recovery and Resilience Facility-RRF), mentre il restante 10% nel Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori d’Europa (Recovery Assistance for Cohesion and the Territories of Europe-REACT-EU).  

Quindi, alla fine, cosa è il PNRR? Il PNRR è il documento legale che ogni Stato membro ha dovuto inviare alla Commissione per accedere ai fondi della RRF. Con questo documento, negoziato tra il Governo italiano e la CE e approvato dalla decisione del Consiglio UE del 13 luglio 2021, sono stati messi a disposizione del nostro Paese 191,5 miliardi di euro, 68,9 dei quali finanziati da sovvenzioni a fondo perduto e 122,6 tramite prestiti. A questa cifra si è inoltre aggiunto un Fondo complementare, interamente gestito dal Governo italiano e finanziato a debito, che completa con 31 miliardi di euro, e con le stesse tempistiche e modalità amministrative, le iniziative del PNRR. 

Come verranno spesi questi 191,5 miliardi? Il PNRR italiano segue gli assi strategici definiti nell’ambito del NGEU ed è articolato in sei «missioni»: transizione digitale e innovazione, transizione ecologica, infrastrutture per la mobilità sostenibile, istruzione e ricerca, inclusione e coesione sociale, salute. Nello specifico, circa il 25% delle risorse verranno destinate ad accelerare il processo di innovazione e digitalizzazione (a livello sia pubblico sia privato); un altro 37,5% alla transizione ecologica; almeno il 40% dei fondi dovrà essere finalizzato a iniziative legate allo sviluppo del Mezzogiorno. L’investimento nell’occupazione giovanile e nelle pari opportunità sono inoltre priorità trasversali del Piano. 

Un aspetto importante del Piano è il meccanismo di erogazione dei fondi. Non a caso, non si parla di Recovery «Fund», o se lo si fa, si commette un errore grossolano. La linea di finanziamento del PNRR, come argomentato sopra, è stata infatti denominata «Facility». Questo implica che la rendicontazione dei finanziamenti non avviene in funzione della spesa (come è tipico di qualunque fondo pubblico), ma sulla base di specifici risultati che sono stati definiti congiuntamente alla destinazione dei fondi spesi. 

Ogni sei mesi, dunque, la CE controlla che gli Stati membri abbiano completato, nei tempi stabiliti, le scadenze (trimestrali) definite nei rispettivi PNRR. Solo dopo tale verifica, la CE procede all’erogazione dei fondi concordati. Alla base di questo processo vi è un accordo operativo che ogni Stato membro ha firmato insieme alla CE, il quale prevede confronti trimestrali per monitorare l’andamento dei PNRR nazionali. Il PNRR italiano prevede un totale di 527 risultati da raggiungere da qui al 2026, che possono essere di due tipi: obiettivi o traguardi. I primi vengono verificati con indicatori quantitativi (per esempio, numero di imprese raggiunte dai fondi, aumento personale nei tribunali) e sono tipicamente legati agli investimenti, mentre i secondi sono valutati in modo più qualitativo e solitamente riguardano l’approvazione di atti normativi o amministrativi, e sono dunque tipicamente legati alle riforme. Semplificando, i traguardi sono scadenze che precedono cronologicamente gli obiettivi, in quanto solitamente rappresentano dei passaggi necessari (riforme) per l’efficace raggiungimento degli investimenti. Il PNRR italiano prevede un totale di 213 traguardi e 314 obiettivi. Una rigida tabella di marcia scandisce scadenze trimestrali precise per ognuno di questi interventi.  

A che punto siamo con la realizzazione del PNRR? A oggi risultano assegnati tramite procedura competitiva ai cosiddetti «soggetti attuatori» (Ministeri, enti locali o aziende statali) circa 100 miliardi di euro, e le prime due valutazioni della CE sul rispetto delle tempistiche dei traguardi e degli obiettivi (dicembre 2021 e giugno 2022) sono state positive, il che ci ha consentito di sbloccare le tranche di finanziamento successive. Siamo in attesa, ai primi del 2023, della valutazione sul semestre in corso (chiuso a dicembre 2022). Dunque su questo aspetto siamo in linea con i tempi previsti. 

Dove, non sorprendentemente, stiamo accumulando ritardi è invece nel passaggio dall’allocazione dei fondi ai soggetti attuatori alla spesa effettiva dei fondi stessi tramite azioni sul territorio (passaggio che richiede bandi di gara, aggiudicazioni di appalti, SAL, e relativa rendicontazione). I dati aggiornati della Nota di aggiornamento al DEF-NADEF ci dicono infatti che a fronte di circa 29,4 miliardi che avremmo dovuto spendere nel 2022, dovremmo riuscire a spenderne circa 15. Nel 2023, gli investimenti dovrebbero poi salire a circa 40,9 miliardi, ma evidentemente questa cifra sarà tutta da verificare rispetto all’effettiva capacità di spesa dei soggetti attuatori. 

Da questo punto di vista, è importante capire se le risorse allocate dal PNRR ai soggetti attuatori stiano raggiungendo enti in grado di gestirle in maniera efficiente. Il PNRR Lab di SDA Bocconi, attivo dal luglio 2022, ha come mission proprio quella di monitorare l’esecuzione del PNRR, elaborando proposte di policy che favoriscano non solo un’allocazione degli investimenti in linea con le linee guida generali del PNRR, ma anche un potenziale controllo sull’effettiva efficacia delle allocazioni post erogazione. In altre parole, valutare se i fondi hanno avuto l’effetto desiderato o meno.  

Analizzando i dati disponibili (OpenCUP, il portale del Dipartimento di Programmazione Economica di Palazzo Chigi), a livello provinciale, si nota che la distribuzione degli stanziamenti sembra rispecchiare l’obiettivo di creare convergenza tra Nord e Sud del Paese, in quanto le province del Centro e del Sud ottengono tendenzialmente più fondi pro capite rispetto a quelle del Nord, con le province di Benevento (5,5 mila euro pro capite) e Rieti (4,5) in testa. Inoltre, suddividendo l’analisi per «missioni», si nota che quella con il maggior sbilanciamento territoriale a favore del Mezzogiorno è la numero tre, cioè «infrastrutture per una mobilità sostenibile», che include importanti interventi sulla rete ferroviaria. A livello provinciale, quindi osserviamo buoni segnali.  

Un rischio, tuttavia, è che le migliori amministrazioni locali siano maggiormente capaci di attirare fondi, rischiando quindi di indirizzare la maggior parte dei finanziamenti in aree che li necessitano relativamente meno di altre. Comparando i fondi stanziati con indici di qualità delle istituzioni, infatti, i dati confermano che le regioni del Mezzogiorno ricevono in media più fondi, ma al loro interno sono le province con qualità istituzionale relativamente più alta quelle che attraggono più risorse. 

Una analisi simile si ottiene comparando i fondi allocati a indici di dispersione scolastica o di qualità delle scuole primarie. I finanziamenti pro capite alle scuole vanno maggiormente verso regioni con più alta dispersione, ma regioni come Sardegna e Calabria, anche se sono quelle con il più alto livello di dispersione, si trovano solo marginalmente sopra la media nazionale in termini di finanziamenti pro capite. Focalizzandoci poi sui dati relativi all’edilizia scolastica, i dati ci confermano che le regioni con scuole più datate hanno ricevuto solo pochi fondi pro capite in più. Tuttavia, all’interno di ciascuna regione i fondi destinati dal PNRR all’edilizia scolastica non sempre raggiungono i territori sub-regionali con le scuole energeticamente meno efficienti e più vecchie. 

Diventa quindi di primaria importanza monitorare non solo l’allocazione dei fondi, ma anche il loro effettivo impatto nei territori, per assicurare tempestive correzioni qualora gli effetti non fossero in linea con le priorità del PNRR. Per esempio, ha senso che le maggiori risorse si concentrino nei territori oggi più in ritardo in termini di qualità istituzionale, ma tenendo a mente che, almeno al momento, al Sud le risorse stanno andando a chi è relativamente più efficiente, e dunque che è necessario investire negli strumenti che aumentino la capacità amministrativa delle aree meno efficienti (per esempio ad attirare fondi), per evitare di amplificare ulteriormente –invece che ridurre – le disparità del Paese. 

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