Sotto la lente

Agricoltura e finanza: un matrimonio che s’ha da fare

L’agricoltura italiana è soggetta a due trend che potrebbero cambiarne il destino. Da una parte, la finanza mostra un crescente interesse per il settore, dall’altra, il ricambio generazionale rischia di interrompersi per il disinteresse delle nuove generazioni per il settore. Il numero complessivo di aziende agricole si è ridotto di circa il 30% negli ultimi 10 anni e oggi più della metà degli imprenditori agricoli ha più di 60 anni. Nei prossimi anni, quindi, un numero altissimo di aziende e terreni potrebbero andare sul mercato.

 

Le due storie sembrano convergere verso un comune “e tutti vissero felici e contenti,” in cui finanza e agricoltura si sposano – eppure gli ostacoli da superare non mancano e il finale è tutt’altro che scontato.

Un interesse in crescita

I fondi pensione e assicurativi internazionali, da sempre alla ricerca di investimenti sicuri e a lungo termine ai quali allocare parte del patrimonio, sono un investitore tipico nel settore agricolo. Questi fondi investono in terreni agricoli, che non solo mantengono il loro valore, ma offrono anche ritorni stabili, seppur modesti. La tendenza, particolarmente visibile nei paesi anglosassoni, non ha però preso davvero piede in Italia. La strategia di questi fondi, infatti, è quella di investire in terreni per affittarli alle aziende agricole, ma in un panorama frammentato come quello dell’agricoltura italiana, il match tra un terreno dall’alto potenziale e un’azienda agricola famigliare interessata all’affitto è difficile. A un forte interesse nel periodo della pandemia, è perciò seguita una fase di ripensamento.

 

Una strategia potenzialmente più redditizia e seguita, ancora una volta, soprattutto all’estero, è quella dell’investimento non solo in terreni, ma anche in attività agricole: i fondi, in questo caso, entrano nella gestione delle aziende agricole, selezionando o avviando, per lo più, coltivazioni ad alto valore aggiunto. Per l’Italia, frutta esotica, olive, mandorle e agrumi sono i candidati ideali. In questo settore, l’attore per ora più attivo è IDeA Agro, fondo di private equity in agricoltura della famiglia De Agostini, ma altri investitori si stanno muovendo nella stessa direzione.

Alla ricerca del farm manager

La vera difficoltà, in questo caso, sta nel trovare figure professionali capaci di gestire questi investimenti. Manca una figura di catalizzatore, il sensale che sappia finalizzare il matrimonio tra agricoltura e finanza: il farm manager. Come accade quando investono in attività industriali, i fondi vorrebbero mettere manager di fiducia a capo delle aziende agricole in cui investono. Il farm manager è, esattamente, un professionista con competenze sia agronomiche che imprenditoriali, capace di gestire l'intera filiera produttiva, dalla scelta delle colture alla commercializzazione dei prodotti. Mentre all’estero questi manager esistono, in Italia, invece, l'imprenditore agricolo proviene tipicamente da una famiglia di agricoltori, e gli agronomi tendono per lo più a svilupparsi come tecnici consulenti piuttosto che come manager.

Nuove opportunità

L’agrivoltaico e le bioenergie hanno ulteriormente accresciuto l’appetito degli investitori nel settore. Tuttavia, per legge, non si può più investire in queste attività senza un'azienda agricola, creando una sinergia inevitabile tra agricoltura ed energia. La regolamentazione impone che almeno il 70% della superficie sia destinata all’attività agricola, con il restante 30% dedicato all'agrivoltaico. Ma anche qui, senza figure professionali adeguate, il rischio è di non riuscire a sfruttare appieno queste opportunità.

Che cosa rischiamo di perdere

L’interesse della finanza può essere una grande opportunità di rilancio per l’agricoltura italiana. I grandi operatori finanziari non sono solo portatori di una cultura manageriale più avanzata, ma sono anche soggetti a vincoli ESG e pressioni degli investitori che li spingono inevitabilmente in direzione di una gestione sostenibile, garanzia di uno sviluppo sano e di lungo periodo per il settore.

 

Questa potenzialità sarà effettivamente espressa, però, solo se sapremo sviluppare credibili figure di farm manager. Nella realtà italiana, il farm manager non potrà che essere uno sviluppo dell’agronomo. Sapranno gli agronomi sviluppare, anche con la formazione, competenze manageriali e imprenditoriali? Se sì, l’agricoltura italiana ne uscirà rinnovata e più competitiva. Se no, i terreni destinati ad andare sul mercato nei prossimi anni rimarranno invenduti e il settore si impoverirà ulteriormente.

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