Disrupted

Musk, Zio Paperone e la rivoluzione incompiuta dell’auto

Sta facendo scalpore la decisione del board di Tesla di dare come premio a Elon Musk mille miliardi di dollari per tenerlo alla guida dell’impresa nella prossima decade. Per i boomer sembra di tornare alle storie di Zio Paperone, l’avido protagonista dei fumetti della Disney del secolo scorso. Eppure, la decisione sofferta del board che ha impiegato del tempo a digerirla, pur sembrando completamente insensata, ha evidentemente un che di pragmatismo, a differenza di quello che potrebbe apparire a prima vista. 

 

L’automotive è uno dei settori che più di altri sta subendo la disruption di questa nuova rivoluzione industriale. A parte gli appassionati del settore, chi recentemente si è imbattuto in un acquisto ha provato con mano l’assenza di uno standard di mercato. Diesel, benzina, gasolio, ibrido, plug in, elettrico, idrogeno (sì, qualche primo modello esiste…). Per non parlare del tema acquisto: proprietà, leasing, sharing e della tipologia di modelli più improbabili, dalle macchine minuscole che guidano oramai i sedicenni a mega SUV che sembrano trattori. Questa è la confusione tipica dell’era di fermento schumpeteriana, foriera di cambiamento ma anche di tanta incertezza nella produzione e nei modelli di consumo. 

 

E nel caso dell’auto il tutto sta accadendo con i tempi e la complessità dell’essere uno dei settori storicamente trainanti l’economia mondiale. Questo non solo perché l’auto di Henry Ford ha oggettivamente “cambiato il mondo,” come intitolava un classico dell’editoria del management negli anni ‘90 ad opera di un team di MIT, ma perché ha un indotto industriale e distributivo che genera un volume occupazionale significativo. Difatti l’auto è un prodotto meccanicamente complicato e la cui produzione si è ramificata nel corso degli anni in distretti industriali che sono stati sinonimo di occupazione e produttività per interi lustri. Il suo processo di uso e consumo, dal sistema assicurativo a quello di rifornimento, ha pure prodotto una cristallizzazione di servizi che si sono sedimentati nelle routine di comportamento dei consumatori, che amano l’innovazione radicale solo retrospettivamente. Celebre in proposito la frase di Ford: “Se avessi chiesto ai miei clienti cosa volessero mi avrebbero risposto cavalli più veloci.” 

 

E difatti l’auto ha impiegato più di sessant’anni a soppiantare la carrozza a cavalli che trasportava le persone a livello infra e inter cittadino. Il primo brevetto di auto di Carl Benz risale al 1886, la prima fiera automobilistica dieci anni dopo a Chicago (nel 1895) e la prima macchina “accessibile a tutti” altri dieci anni dopo (il modello T lanciato nel 1908). Ma il modello di standard di automobile che conosciamo tutti, con una carenatura di acciaio e chiusa, non è comparsa prima del 1923. E solo il dopoguerra (il 1945!) ha permesso quella adozione di massa che la ha resa un investimento e un prodotto per tutti. Appunto, più di sessant’anni. 

 

Ma tornando a oggi, le cose sembrano andare altrettanto lente. Se pensiamo che il primo modello ibrido è del 1997 a opera di Toyota e che l’investimento di Musk in Tesla risale al 2004. sono già passati trent’anni e non sembra ci sia all’orizzonte una soluzione.  

 

L’idea iniziale di Musk era quella di spingere alla massificazione, con la velocità con cui Ford spinse tra il 1910 e il 1920 il suo modello T che, per avere un prezzo accessibile, era celebre per essere un unicum non modificabile nemmeno nel colore. Ma si è scontrata prima con il non banale problema distributivo dei ricaricatori. E oggi si scontra con il fatto che la macchina elettrica è un computer a quattro ruote, la cui produzione porta a investire pesantemente in componenti, i chip, in competizione con altri settori industriali, visto che sono diventati la materia prima della nuova rivoluzione industriale. E il cui prezzo crescente cozza con una politica di accesso alla nuova automobile. Per non parlare dell’improvviso distacco dalle tematiche green che sembravano invece la cartina di tornasole, fino a qualche semestre fa, in USA ma soprattutto in Europa, i due regni oltre al Giappone dell’automotive. 

 

Nel frattempo, la Cina con la BYD supera sulla destra in quote di mercato il volume di Tesla, che rimane tuttavia allo stato attuale superiore in ricavi e profitto. Come di consueto, la Cina con politiche industriali statali riesce in processi di adozione dove il mondo occidentale moderno fa fatica. E forse proprio qui dovremmo riflettere come sembra dirci l’Accademia svedese con il recente premio Nobel agli economisti studiosi della teoria schumpeteriana, Aghion, Howitt e Mokyr. Il problema della distruzione creatrice (nel nostro caso la tecnologia delle nuove macchine che sostituisce la vecchia tecnologia) deve essere gestito con attenzione istituzionale da parte dei governanti. Altrimenti la si lascia al mercato, con i tempi e gli incentivi che il mercato consente. Quindi, tornando al compenso di Musk non c’è tanto da stupirsi, visto che evidentemente agli occhi del suo board viene considerato l’unico possibile solutore nel mondo americano di questo ancora complicato e irrisolto puzzle del nuovo standard di mercato dell’auto.

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