Cantieri di ricerca

L’impatto economico e sociale del cambiamento climatico in alcune regioni montane

Un aumento incontrollato delle temperature può mettere a rischio la sopravvivenza delle attività sciistiche, fonte non solo di ricchezza, ma di maggior benessere per le comunità locali

Le domande

Non solo una riduzione nella crescita del PIL, ma anche una potenziale minaccia per la qualità della vita delle popolazioni: le conseguenze del cambiamento climatico non possono essere ridotte agli indicatori macroeconomici, è indispensabile cogliere anche l’impatto più ampio sulla società e sulle comunità locali. Una considerazione tanto più calzante per quelle zone di montagna in cui gli sport invernali rappresentano un fulcro delle attività economiche.


Anche se gli obiettivi fissati dagli accordi di Parigi verranno rispettati, la temperatura media in Europa crescerà infatti di oltre 2 gradi rispetto al periodo preindustriale. Ciò potrebbe avere un impatto significativo sui livelli delle precipitazioni – incluse quelle di carattere nevoso. Sono numerose le mete del turismo montano invernale che potrebbero risentirne in misura profonda – al punto che in alcune di esse le attività sciistiche potrebbero divenire del tutto impraticabili, danneggiando così anche la vasta galassia di aziende dell’indotto, inteso nel senso più ampio.


Nell’ottica di garantire la sostenibilità complessiva degli attuali ecosistemi economici e sociali delle località montane analizzate, diventa quindi fondamentale cogliere appieno l’impatto dell’aumento delle temperatura e del possibile decremento delle precipitazioni nevose che ne potrebbe conseguire. Solo così sarà possibile immaginare strategie volte a garantire una performance economica soddisfacente per le imprese locali, anche ridisegnando i business model delle aziende attive sul territorio, se necessario.

Il lavoro su campo

Gli studi pre-esistenti sul rapporto tra cambiamento climatico e turismo invernale hanno evidenziato l’impatto negativo dell’aumento delle temperature non solo sull’offerta, ma anche sulla domanda turistica. Un incremento delle temperature nei centri urbani sembra di per sé sufficiente a scoraggiare una parte dei potenziali sciatori ad andare in montagna. Una delle principali sfide riguarda poi la possibile contrazione della durata della stagione sciistica – resta da verificare se e in che misura a questa si possa far fronte ricorrendo alla neve artificiale.


Figura 1 - Impatto di inverni eccezionalmente caldi su indicatori di domanda e di offerta turistica


D’altro canto, tra gli operatori del settore vi è spesso la tendenza a negare l’esistenza di una minaccia legata al cambiamento climatico. La percezione più diffusa è quella di un rischio connesso alla variabilità del clima (per esempio, arrivo ritardato delle precipitazioni nevose) anziché a un incremento complessivo delle temperature sul lungo periodo. In particolare, chi gestisce attività direttamente legate agli sport invernali sembra preferire strategie di corto respiro orientate a mantenere la profittabilità nell’immediato a un ripensamento globale dei modelli di business sul lungo termine. La neve artificiale viene considerata da molti come un’efficace soluzione per venire incontro alla domanda turistica a prescindere dalle dinamiche stagionali.


Per andare oltre il livello delle percezioni, è stato condotto uno studio sull’impatto effettivo del cambiamento climatico sulle località sciistiche alpine, da diversi punti di vista. Anzitutto sono state analizzate le performance di un campione di 54.016 aziende direttamente legate al turismo invernale (impianti, alberghi, negozi di articoli sportivi) e di 89.923 aziende indirettamente legate allo stesso (principalmente aziende B2B dell’indotto) localizzate nell’arco alpino in quattro Paesi (Italia, Francia, Svizzera, Austria). Nel periodo 2009-2017, entrambe le tipologie di aziende hanno visto una crescita media annua significativa, con un’importante differenza a seconda dell’altitudine: le aziende con i tassi di crescita migliori sono state quelle localizzate a oltre 2000 metri di quota, mentre quelle con le performance peggiori sono state quelle a un’altitudine tra i 1500 e i 2000 metri. La ragione potrebbe risiedere nella maggiore sicurezza di trovare neve ad alte quote percepita dai turisti, e al contempo nelle maggiori opportunità di diversificazione dell’offerta (per esempio, in ambito escursionistico o di turismo urbano) per le aziende localizzate a quote inferiori.


Figura 2 - Fatturato medio 2009-2017 – aziende direttamente (sinistra) e indirettamente (destra) legate al turismo invernale

 

L’analisi si è quindi concentrata più direttamente sul rapporto tra andamento delle temperature, precipitazioni nevose e performance aziendali in 715 stazioni sciistiche italiane, francesi, svizzere e austriache per lo stesso periodo. Da un lato, si è riscontrato che il livello delle precipitazioni nevose non ha fatto registrare diminuzioni significative – al contrario, alle altitudini più elevate (oltre 2000 metri) si è verificato un sensibile incremento. Al contempo, fatta eccezione per le località a un’altitudine compresa tra 1500 e 2000 metri, si è riscontrata un’effettiva crescita delle temperature medie invernali, specie alle quote più elevate (attorno a 4 gradi nelle stazioni sciistiche sopra i 2000 metri).


A partire da questi dati, è stato analizzato il rapporto con le performance economiche delle aziende coinvolte direttamente e indirettamente nel turismo invernale. Per entrambe le tipologie di imprese, un incremento delle precipitazioni nevose si è associato a migliori risultati economici, mentre un aumento delle temperature ha determinato un impatto negativo sugli indicatori di performance. In ogni caso, nel periodo oggetto di studio l’effetto positivo legato a maggiori precipitazioni nevose è risultato superiore a quello negativo determinato dall’aumento di temperatura: un dato che riflette forse un maggior afflusso di turisti nelle stagioni intermedie.


La presenza di attività sciistiche, tuttavia, non ha un impatto solo economico. Per cogliere questo aspetto sono stati analizzati 10 diversi indicatori di benessere derivati da parametri OCSE in diverse regioni europee (definite sempre ricorrendo alla definizione OCSE), con e senza attività sciistiche al loro interno. Si sono così riscontrati livelli più elevati di benessere tra le popolazioni che risiedono in regioni con attività sciistiche – non tanto per quel che riguarda gli aspetti ambientali, ma per la qualità della vita (inclusi aspetti quali l’istruzione, il mercato del lavoro, la sicurezza personale). Nel complesso, la localizzazione di stazioni per gli sport invernali in una data regione sembra associarsi a un livello maggiore di benessere .


Figura 3 - Punteggio medio complessivo di benessere (1-10)

Guardando avanti

La presenza di turismo invernale e di località sciistiche è fonte non solo di ricchezza, ma più in generale di benessere per le comunità locali. Tuttavia, l’incremento delle temperature e la potenziale diminuzione delle precipitazioni nevose a esso connessa possono rappresentare una minaccia per la sopravvivenza di questi ecosistemi socio-economici sul lungo periodo. Ciò rende quanto mai urgente l’adozione di misure volte a contrastare un aumento incontrollato delle temperature.


Ulteriori direttrici di ricerca possono contribuire a cogliere ancor meglio l’importanza della questione, per esempio:

 

  1. uno studio che si concentri sul benessere determinato dalla presenza di stazioni sciistiche focalizzandosi su regioni di dimensioni più ristrette, all’interno di un unico paese, in modo da garantire una maggiore granularità dei dati;
  2. un’analisi che estenda il numero e la varietà di indicatori di benessere a livello locale.

SHARE SU