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Una leadership autentica: intervista a Fabio Comba

È una mattina di sole splendido a Milano e la luce invade l’ingresso di KPMG attraverso tutti i suoi specchi e il soffitto in vetro. Sono venuta ad intervistare Fabio Comba, Direttore HR, che puntualissimo mi raggiunge e mi fa strada fino alla meeting room da dove si ammira dall’alto la stazione centrale di Milano e le punte di qualche grattacielo. Ho avuto il grande piacere di conoscere e ascoltare Fabio qualche mese fa ad un workshop, e, colpita e incuriosita da alcuni passaggi del suo intervento, gli ho chiesto di incontrarlo per approfondire.

 

Caro Fabio, inizierei parlando di talenti. Si sente continuamente parlare di ricerca del talento. Cos’è il talento e come si fa a coltivarlo?

 

Ti dico una cosa un po' controcorrente: non è vero che tutti hanno un talento. E non ritengo che solo i giovani abbiano un talento. Avere talento vuol dire essere ottimamente inclinati verso qualcosa e sommare a questo tanto duro lavoro, perché questa inclinazione risulti in qualcosa di eccezionale. Conosco tanti cinquantenni o sessantenni che ancora non sanno per cosa sono portati, quindi non necessariamente il tema del talento per loro è rilevante. E chi, per contro, ne è consapevole, ma non accompagna questa consapevolezza con un duro lavoro di “sgrezzatura”, non è una persona di talento.  La combinazione vincente è quindi inclinazione consapevole e impegno. Questa idea di talento non può prescindere dal ruolo del leader. Il leader è diverso dal manager. Il manager, dal latino manu agere “condurre con la mano”, è colui che deve fare sì che le cose accadano. Il leader è invece colui che crea le condizioni ideali affinché il talento si esprima pienamente. Questo per me è l’aspetto più interessante della leadership e ciò che mi appassiona della posizione che oggi ricopro. Come Direttore HR penso che mi paghino per realizzare il miglior ambiente possibile perché le performance eccellenti fioriscano. Credo molto in questo scopo, in quanto lo vedo come via verso la mia felicità. Capita di interrogarsi in qualità di esseri umani rispetto al senso delle cose che facciamo. Negli anni, ho capito che la mia felicità è legata in modo imprescindibile alla felicità delle persone che mi circondano. Cerco quindi di stare e creare condizioni che portino al benessere di tutti, tanto nella vita professionale quanto in quella privata.

 

Cosa ci si deve dunque aspettare da un leader oggi?

 

I leader hanno la possibilità e il privilegio di far crescere professionalmente le persone che li circondano. Il vero leader si misura dalla sua capacità di portare le proprie persone al proprio livello e a volte anche di superarlo. Questo lo si riesce a fare se si capisce che le persone hanno bisogno di vedere il proprio potenziale con i loro occhi. Non basta, per un leader, saper identificare il potenziale. È necessario che questo vengo visto o intravisto dal collaboratore stesso. Questa è la grande sfida. Aiutare le persone a crescere e fiorire. Spesso in questo processo ci si scontra anche con limiti oggettivi, imposti dalla realtà organizzativa, tali per cui la crescita stessa viene limitata. Non importa o importa poco. Si possono aiutare le persone anche ad uscire dall’organizzazione e trovare un posto dove poter realizzare appieno il proprio potenziale. Si fa un pezzo di strada insieme ma poi si possono accompagnare i singoli anche a fare lo step successivo. Il leader non è quello che tiene le persone strette intorno a sé per accrescere il proprio potere e status. Non ha bisogno di “dipendenti”, né tantomeno di creare con essi un rapporto simbiotico. Evoluzione fa rima con autonomia. Il leader deve lavorare sull’autonomia delle proprie persone. In questo modo ne traggono beneficio i singoli e anche la stessa organizzazione.

 

E qual è la sfida per il collaboratore?

 

Certamente diventare consapevole del proprio potenziale ed impatto nell’ambiente in cui opera. Non è un processo banale. Occorre duro lavoro e una ricerca costante di un riscontro dalla realtà in cui si vive. Utilizzando una metafora, io potrei pensare di essere velocissimo nella corsa. Poi guardare cosa dice il mio orologio e realizzare che non sono così veloce come credevo. È necessario che ognuno faccia i conti con la realtà consensuale - fatta di oggetti, parole, valori in cui ciascuno è immerso - che aiuta a raffinare la percezione che si ha di se stessi. I peggiori sono coloro che hanno un esame compromesso della realtà, cioè coloro che pensano di eccellere o, al contrario, performare molto male, indipendentemente da ciò che la realtà consensuale dice loro. La ricerca del feedback è fondamentale. Noi cresciamo e ci evolviamo in base ai feedback che riceviamo.

 

Alcuni leader però non sono molto propensi a dare feedback in modo continuo e sistematico…

 

Come detto, il feedback è fondamentale per l’evoluzione e crescita dell’individuo. Devi non aver capito questo, per negare a qualcuno un feedback. Certo, è molto più semplice e rassicurante non “scontrarsi” con la diversità dell’altro. Rimanere circondati da persone uguali a noi per età, background, interessi e lamentarsi o guardare con distacco chi è diverso o chi agisce in modo differente rispetto alle proprie aspettative. Il problema è che così facendo si perde la ricchezza e si sfocia nell’autoreferenzialità. L’autoreferenzialità blocca la curva evolutiva, individuale e del business. La leadership non è una corsa di 100 metri, è un’ultra maratona. Non ci si può permettere di smettere imparare, ma è necessario essere continuamente aperti rispetto a tutto ciò che ci circonda, guardando a tutto quanto con estrema curiosità e sincero interesse.

 

A proposito di ultra maratone…so che sei un grande sportivo, sposato, direttore HR Italia di una delle Big Four e nel tempo libero ti dedichi ad attività di volontariato. Come riesci a far funzionare ed eccellere in tutti gli ambiti?

 

Credo che la chiave sia l’armonia che sperimento tra i diversi ambiti. Se io dovessi descriverti chi sono al lavoro, mi concepisco come creatore di condizioni che favoriscono l’emergere di performance eccellenti. Se dovessi descriverti come mi vedo a casa, sono il marito che crea (o cerca di creare) le condizioni perché la coppia stia bene. Con gli amici, sono l’amico che gioisce nel creare il clima migliore perché il tempo passato insieme sia bello. E così via. È come se ogni ambito della mia vita fosse permeato da due valori profondamente radicati in me: l’amore per l’evoluzione mia personale, intesa come curiosità verso tutto ciò che può contribuire alla mia crescita, e amore per il prossimo, perché da soli non si va da nessuna parte. Vivo, in ogni ambito, seguendo e perseguendo questi valori. Ti faccio un esempio. Quando a 45 anni ho deciso di partecipare all’Ironman, ho chiesto il permesso a mia moglie. Lei mi ha conosciuto che ero già uno sportivo, per cui non era una richiesta strana. Ma per me era fondamentale che lei fosse a bordo al 100%. La riprova dell’importanza di questo l’ho avuta quando ho iniziato la preparazione per l’Ironman con Fabio Vedana, noto coach ed esperto di sport di endurance. La prima cosa che mi ha detto è stata: “io ti alleno se e solo se sussistono tre condizioni: hai un obiettivo di tempo chiaro in mente, sei disposto a lavorare duro per 9 mesi e il tuo sistema familiare è d’accordo”. Non è stato poco virile per me chiedere il permesso a mia moglie. La virilità non sta nel sopraffare qualcuno, ma nel sopraffare qualcosa - in questo caso vincere la competizione – con qualcuno. Quando ho tagliato il traguardo ho voluto mia moglie a fianco.

Caro Fabio, grazie per aver condiviso con chiarezza l’importanza del lavoro su di sé che ognuno di noi, nei vari ruoli di leadership che ricopre al lavoro e nella sfera privata, è chiamato a fare. La ricerca di una grande consapevolezza del sé, di ciò che importa, accompagnata da duro lavoro e resilienza nel perseguire il proprio ed altrui benessere. Grazie perché ci testimoni che non solo è possibile farlo, ma che i benefici sono molteplici ed entusiasmanti, per l’individuo, per l’azienda e per la collettività in senso ampio.

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