
- Data inizio
- Durata
- Formato
- Lingua
- 10 Set 2025
- 6 giorni
- Class
- Inglese
Identifying growth opportunities and drive innovation with a strategic agenda, understanding key external trends and effectively merging financial and market perspectives.
If you are not hearing disagreement, that is a bad sign.
Esistono due condizioni principali che ci spingono a restare in silenzio. La prima coincide con un nostro desiderio o esigenza di restare in ascolto e riflettere. La seconda, invece, riguarda una paura. Una paura ad esporsi in una data situazione.
Questa paura deriva dal nostro istinto verso l’auto-protezione, per cui nessuno di noi vuole apparire ignorante, incompetente, invadente o negativo. È talmente connaturata in noi questa esigenza, che spesso e volentieri preferiamo non fare domande, non ammettere apertamente i nostri sbagli, non proporre nuove idee e tantomeno criticare lo status-quo. Non lo facciamo per mancanza di interesse o con cattive intenzioni. Fa semplicemente parte della nostra natura in quanto esseri umani. E basta poco per stimolare in noi questi comportamenti, come un banale ricordo di una qualche conseguenza spiacevole subita da qualcuno (i.e. noi stessi o altri intorno a noi) che, invece, aveva deciso di esporsi.
La buona notizia è che questo meccanismo di difesa funziona benissimo per l’individuo. Nella maggior parte dei casi si riesce con successo a portare a casa la pelle. Quella cattiva è che, a livello di team, rappresenta la ricetta per un disastro. Non c’è apprendimento, non c’è innovazione, non c’è intelligenza collettiva senza quella che gli studiosi definiscono sicurezza psicologica.
Amy Edmondson, docente ad Harvard, nel 2019 ha vinto il Thinkers50 Breakthrough Idea Award, per aver dimostrato che la sicurezza psicologica è una caratteristica chiave nei contesti lavorativi per promuovere il raggiungimento di performance eccellenti a livello di team.
Cosa si intende per sicurezza psicologica? La Edmondson la definisce come:
la convinzione che non si sarà puniti o umiliati per aver portato idee, posto domande, espresso preoccupazioni o raccontato di errori commessi.
La rilevanza di questa dimensione è stata testimoniata anche dal famoso progetto Aristotele, uno studio durato due anni e condotto all’interno di Google. Psicologi, sociologi, ingegneri, esperti di statistica e altri ricercatori hanno osservato 180 team, condotto oltre 200 interviste e analizzato più di 250 dimensioni relative a differenti team con l’obiettivo di determinare quale fosse il mix ideale di competenze capace di rendere un team vincente. Hanno preso in considerazione l’esistenza di sistemi di regole non scritte, le competenze, le abitudini, i comportamenti, le interazioni tra i membri. La conclusione? Mettendo insieme individui eccellenti non si ottiene un team perfetto. Come diceva il filosofo Aristotele, il tutto è maggiore della somma delle sue parti.
Per costruire team eccellenti non è sufficiente aggregare i componenti più qualificati e mettere insieme le migliori personalità. Il successo di una squadra, infatti, è principalmente determinato dal tipo di interazioni, più o meno solide, e dalle dinamiche di gruppo che si creano tra i membri del gruppo.
A fare la differenza è proprio il grado di sicurezza psicologica sperimentata all’interno dei team. La volontà e la disponibilità dei componenti del team a fare domande, chiedere aiuto, esprimere opinioni, proporre idee innovative, ammettere errori.
Amy Edmondson racconta di come sia arrivata lei stessa – quasi incidentalmente – alla stessa conclusione. Aveva preso parte ad uno studio riguardante alcuni ospedali, il cui obiettivo era quello di dimostrare che le equipe migliori erano quelle dove si commetteva il minor numero di errori legati alla somministrazione di farmaci. Raccolti i dati rispetto all’efficacia dei team e il relativo numero totale di errori commessi, e condotte le dovute analisi, il risultato fu alquanto sorprendente. Mostrò infatti l’esatto opposto. I team migliori erano quelli che apparentemente commettevano più errori. Data la singolarità del risultato ottenuto, iniziò ad interrogarsi sul perché. Dopo varie ipotesi e ulteriori indagini, arrivò alla conclusione che in realtà, i team migliori non commettevano un maggior numero di errori, semplicemente erano più propensi a parlarne.
La sicurezza psicologica è un elemento fondamentale per promuovere il benessere e l’innovazione a livello di team, specie in contesti turbolenti e dinamici come quelli in cui tutti ci siamo trovati a vivere nell’ultimo anno. In passato, il più grosso ostacolo a un’onesta manifestazione dei propri bisogni, idee e mancanze è sempre stato a livello di leadership. Spesso, purtroppo, è prevalso in molti contesti uno stile auto-referenziale, fondato sul comando e controllo. Alla luce di quanto si è visto accadere durante la pandemia, alle conseguenze negative, se non drammatiche, che hanno avuto stili di leadership tossici, gli esperti si interrogano:
sarà questa l’occasione per mettere fine al cosiddetto macho leader, per lasciare spazio ad uno stile più empatico, compassionevole e trasparente, capace di promuovere la sicurezza psicologica?