La grande differenza la fa il contesto in cui viviamo, un contesto fatto primariamente da interdipendenze. I fattori in gioco, le persone coinvolte, i momenti e le dinamiche che si susseguono, non sono più in relazione lineare tra di loro. Vi è fra di essi, il più delle volte, un rapporto di reciproca dipendenza. Ciò significa che per portare a termine un compito è necessario fare affidamento ad altro o ad altri. I risultati a cui oggi aneliamo, sono, nella maggior parte dei casi, raggiungibili solo attraverso uno sforzo collettivo.
Si tratta sempre di meno di vincere i 100 metri. Si tratta sempre di più di vincere una staffetta. Se guardiamo alla staffetta come la “semplice” somma di quattro individui, ognuno dei quali deve preoccuparsi di correre il più velocemente possibile nei suoi rispettivi 100 metri, possiamo dire di avere la garanzia di vincere la gara? No. Non basta che ciascuno si preoccupi della propria velocità. Come ci ricorda Yves Morieux, esperto di gestione della complessità, ciò che fa la differenza sta nel come si decide di usare la propria energia. Chi decide di concentrarla tutta nelle proprie gambe, non contribuisce al raggiungimento del risultato finale. C’è un momento durante la gara, infatti, in cui occorre cambiare il focus e decidere di spendere le proprie risorse per favorire la performance altrui, non più (solo) la propria. È necessario infatti preparare l’altro a prendere il testimone. A questo punto la differenza non la fa più la propria velocità, ma la prontezza nell’urlare al compagno di prepararsi e di incitarlo nei primi secondi della sua corsa. Togliere in parte energia dalle proprie gambe per convogliarla nei gesti e nelle parole utili a mettere il compagno nelle migliori condizioni possibili per iniziare la sua corsa.