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Chi è Debbie Sterling?

Debbie Sterling si è laureata a Stanford nel 2005 in ingegneria e design del prodotto. Il giorno della sua laurea assiste al famoso discorso di Steve Jobs che invita tutti i laureati a non accontentarsi mai finché non troveranno ciascuno la propria passione. Da quel giorno Debbie si mette alla ricerca, non sapendo bene da dove cominciare ma con la convinzione che presto o tardi avrebbe trovato ciò che l’appassionava.

 

Aveva scelto ingegneria come specializzazione perché era ispirata dall'idea di progettare prodotti che potessero aiutare le persone e rendere il mondo un posto migliore. Si trasferisce a Seattle e inizia come stagista presso un'agenzia di branding e design chiamata Hornall Anderson.

 

Dopo tre anni, nonostante le piacesse lavorare in un'agenzia creativa, inizia a provare un senso di vuoto. Vuole dare al mondo il suo contributo in modo più significativo, vuole fare la differenza. Così lascia il suo lavoro e parte per 6 mesi a fare volontariato in India.  Questa esperienza le cambia la vita. Capisce che non vuole lavorare nell’ambito non-profit e inizia a cercare qualcosa di nuovo. Un giorno si imbatte in un annuncio per una posizione di direttore marketing di una piccola azienda di gioielli chiamata Lori Bonn. Una delle sue attività preferite al college era la creazione di gioielli e pensa: "Forse i gioielli sono la mia passione", quindi fa domanda e ottiene il lavoro.

 

Nei tre anni successivi impara tutto su come gestire una piccola impresa. Lori Bonn è stata per Debbie come una scuola di economia. Impara cos'è un bilancio, come produrre oggetti all'estero, come allestire uno stand fieristico, come incontrare i principali acquirenti di grandi magazzini e tante altre cose. Nonostante questo, sapeva in fondo di non aver ancora trovato la sua vera passione.

 

Nel frattempo fonda un club con alcuni amici chiamato "Idea Brunch", dove una volta al mese si riuniscono, preparano una colazione abbondante e ogni persona a turno si alza e condivide l’ultima idea che gli è balenata in mente.

Un giorno una sua amica, che aveva studiato ingegneria con lei all'università, si alza davanti a tutti e inizia a lamentarsi della mancanza di donne nelle aule di ingegneria. Menziona come da piccola giocava con i giocattoli da costruzione di suo fratello e di come questo avesse suscitato in lei uno spiccato interesse per questo ambito. La sua idea era quella di progettare giochi di costruzione per bambine. Per Debbie arriva finalmente il tanto atteso Eureka moment. Capisce finalmente cos’è la sua vera passione, ciò che stava cercando da quando aveva assistito al discorso di Steve Jobs.

Inizia a fare una ricerca e ad osservare come giocano i bambini. Si accorge di una grande differenza fra bambini e bambine: i bambini amano il “costruire” in sé e per sé, le bambine invece hanno bisogno di un obiettivo ben definito, devono conoscere fin dall’inizio cosa stanno costruendo. Debbie capisce quindi che il tradizionale tentativo della maggior parte delle case produttrici di giocattoli di appassionare le bambine alle costruzioni attraverso “scritte rosa e non più azzurre” sulle confezioni dei giochi non poteva funzionare.

 

Tutto diventa chiaro, perfino come far tornare utili tutte le lezioni imparate nel corso della sua carriera che non era stata propriamente lineare fino ad allora. Lascia il suo lavoro e fonda GoldieBlox, il cui obiettivo è quello di far appassionare le ragazze all'ingegneria e alla tecnologia con un approccio innovativo.

 

Sul suo sito si legge:

 

We create shows that inspire, toys that teach and creative campaigns that celebrate diverse, badass female STEM role models that still - to this day - are incredibly rare to see. As we do, we bring along boys, too. So as they grow, they help level the playing field.

 

STEM can often seem intimidating. So we make it fun. Build self-confidence. Inspire the next generation of innovators. And shatter long-held stereotypes.

 

Perché condivido questa storia?

 

Perché tutti, qualunque ruolo o posizione ricopriamo, desideriamo come Debbie “lasciare il segno”. Per farlo, pensiamo sempre di dover fare l’impossibile. Debbie, con la sua storia ci ricorda che l’unica cosa straordinaria (perché purtroppo è esperienza ordinaria solo per pochi ancora) che dobbiamo fare è prendere sul serio noi stessi, quel mix unico di attitudini, competenze, esperienze e personalità che ci caratterizza e capire come metterlo al servizio della società in cui viviamo. Alla base di tutto vi è una gestione corretta ed efficace del sé unita ad un ascolto incessante della realtà che ci circonda, per capire quale sia, oggi, il reale fabbisogno rispetto a ciò che noi possiamo offrire.

 

Il tutto – come dice Debbie – condito da una buona dose di grinta, perché, si sa, è un attimo distrarsi e ritrovarsi con anni e anni di lavoro alle spalle spesi per una causa che, in fondo, non ci appartiene. E questo è un prezzo che non dovremmo essere disposti a pagare, né come individui, né tantomeno come organizzazioni.

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