
- Data inizio
- Durata
- Formato
- Lingua
- 10 giu 2025
- 4,5 giorni
- Class
- Italiano
Individuare le possibilità di negoziazione, preparare efficacemente l’incontro, conoscere e applicare le tecniche negoziali e saper influenzare gli interlocutori.
Se fino a ieri tutti gli sforzi, le iniziative, gli interventi, le riflessioni da parte di individui e organizzazioni sono state incentrate sulla sostenibilità, ora si inizia a guardare al benessere come la prossima grande conquista per l’umanità. Complice, dicono, la pandemia, che ha reso l’intera popolazione meno tollerante rispetto a tutti quei fattori che abitualmente intralciavano il raggiungimento di questo tanto sospirato status. In particolar modo i giovani. Non passa giorno che non compaia articolo o notizia riguardante la Great Resignation. Alla base di questo enorme flusso di dimissioni volontarie c’è proprio la ricerca di posti di lavoro che garantiscano una vita migliore.
Ma se siamo onesti, già prima della pandemia globale eravamo impegnati a pensare a come mitigare gli effetti negativi della vita moderna. Le sfide ambientali sempre in agguato, la frenesia della vita quotidiana, la congestione nelle città, lo stress, tutti fattori che non hanno fatto altro che aggiungersi a quello che già iniziava ad essere considerato un sovraccarico tossico per l’essere umano. Non possiamo certamente tornare indietro nel tempo e annullare ciò che ci ha portato fino a qui, ma la decisione da prendere oggi è quella di muoversi verso un futuro di benessere sostenibile. Credo che nessuno la pensi diversamente. In seguito alla pandemia, sono state svolte diverse indagini con lo scopo di identificare quelle realtà che si stanno già muovendo in questa direzione. Ad esempio, da un sondaggio di Ipsos appare che l'82% delle aziende intervistate considera il benessere dei dipendenti una priorità, l'87% delle aziende ha iniziative di wellbeing in atto, ma soltanto il 55% di esse possiede una vera e propria strategia. Ma cosa intendiamo precisamente quando parliamo di benessere? La difficoltà di definire questo concetto riguarda il fatto che esso “non è un’entità unitaria semplice e non riguarda solo un costrutto specifico” (Aureli et al., 1999).
Benessere è “assenza di malessere”?
In alcune realtà, purtroppo, questo sarebbe già un grosso traguardo. La medicina stessa fino a circa trent’anni fa identificava il benessere come l’opposto del disagio, e il ‘sano’ era quindi il ‘non malato’. Anche al di fuori dell’ambito sanitario, l’accento è stato posto prevalentemente sul risanare situazioni in cui il benessere mancava.
Al contrario, l’idea di benessere che cerchiamo di affermare oggi parte da un concetto positivo, da un “di più” rispetto al livello base, inteso come livello dove l’individuo non sperimenta né uno status di malessere né di benessere. Lo dice l’etimologia stessa della parola: ben-essere, “esistere bene”.
Cosa significa “esistere bene”?
Vuol dire innanzitutto che l’io è presente al 100%. Nessuna sua parte è lasciata fuori. Tutti i suoi diversi aspetti quali quello fisico, psicologico, spirituale, sociale sono chiamati in causa. E perché questo esistere dell’io sia positivo (“ben”) occorre che tutti questi aspetti siano coltivati e valorizzati. In che misura? È l’io stesso a dover decidere, proprio per la natura soggettiva del benessere.
È chiedere troppo?
Era il 1946 quando Adriano Olivetti portò nelle sue aziende bellezza, cultura e benessere, dimostrando che è possibile fare impresa e avere grande successo occupandosi delle persone che lavorano in azienda, pensando anche alla loro vita al di fuori del lavoro.
Il suo è un esempio noto, fra altri, che testimonia come mettere al centro il welfare aziendale, nel nostro Paese, è possibile e porta grandi frutti. La vera sfida, ora, è andare oltre questi esempi virtuosi di imprenditori illuminati e implementare, attraverso una logica di sistema, processi che mettano al centro il benessere organizzativo come fattore chiave per il raggiungimento di performance eccellenti e come tale gestito con metodo e visione.