Sotto la lente

Piano Transizione 4.0: un’occasione da non perdere

Ampliare la platea dei potenziali fruitori, favorire l’accesso alle risorse disponibili da parte delle PMI, focalizzare gli interventi sugli investimenti dedicati al sostegno delle imprese operanti nelle filiere del Made in Italy. Questi sono alcuni dei principali elementi che caratterizzano il Piano Transizione 4.0.

 

Nato a fine 2016 come Piano Nazionale Industria 4.0 – e noto anche come «Piano Calenda», allora Ministro dello Sviluppo Economico – con l’obiettivo di sostenere l’innovazione delle imprese e la crescita tecnologica del Paese, l’intervento è stato riproposto e rifinanziato nel corso degli anni, evolvendo prima nel Piano Impresa 4.0 e, in seguito, nel recente Piano Transizione 4.0.

 

Il ridisegno dei contenuti del nuovo Piano nasce dall’esigenza di consolidare e ulteriormente accrescere i risultati ottenuti e di superare le criticità emerse in fase attuativa. In particolare, il Piano Impresa 4.0 ha visto investimenti in beni materiali e immateriali per circa 13 miliardi di euro e 53mila imprese beneficiarie. Se questo dato aggregato può essere considerato positivamente, tuttavia, l’osservazione del quadro di interventi ha mostrato che gli incentivi legati all’iperammortamento sui beni materiali sono stati indirizzati prevalentemente (64%) ad aziende di dimensioni medio-grandi (solo il 9% alle micro imprese e il 27% alle piccole), interessando prevalentemente investimenti in macchinari, con un numero ridotto di imprese impegnate per valori superiori ai 10 milioni di euro e pochissime per grandezze superiori ai 20 milioni (dati del MISE).

 

Il nuovo Piano sostituisce l’iperammortamento e il superammortamento con lo strumento del credito di imposta, declinato in diverse aliquote per diverse categorie di beni, modulate nel tempo. L’impiego del credito d’imposta, compensabile in 5 anni, favorisce il contenimento dei tempi di rientro dell’incentivo e un’anticipazione della sua fruizione. Inoltre, è previsto un nuovo credito di imposta per le spese in ricerca e sviluppo e innovazione e design, nell’intento di privilegiare oltre a quelle per i macchinari anche le spese per il personale e per lo sviluppo delle loro competenze specifiche. Il provvedimento si pone in primo luogo l’obiettivo di stimolare gli investimenti privati e dare stabilità e certezza alle imprese con misure tese al raggiungimento di obiettivi di medio periodo (2023). A tal fine, i crediti di imposta sono previsti per due anni e la misura decorre dal 16 novembre 2021, favorendo la programmazione delle aziende interessate. In secondo luogo, le modifiche apportate si propongono di estendere la platea dei potenziali beneficiari, stimato in un incremento del 40%. Inoltre, l’intervento è teso a incentivare lo sviluppo di competenze coerenti con l’evoluzione tecnologica in atto, l’economia circolare e i processi di digitalizzazione delle imprese.

 

Il documento programmatico di bilancio 2022, approvato il 19 ottobre scorso, contiene una proroga per gli incentivi fiscali collegati al Piano Transizione 4.0, nonché il contributo a favore delle piccole e medie imprese per l’acquisto di beni strumentali e ulteriori interventi, tra i quali il fondo per l’internazionalizzazione delle imprese e quello di garanzia per le stesse PMI.

 

L’insieme di queste manovre si inserisce nel quadro più ampio del PNRR e, in particolare, nelle sue missioni legate alla digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura, alla rivoluzione verde e transizione ecologica e all’istruzione e ricerca, interventi per i quali è previsto uno stanziamento che sfiora i 150 miliardi di euro. Un’occasione unica per rilanciare e ammodernare il sistema produttivo di un Paese, l’Italia, che si colloca al secondo posto in Europa e al settimo nel mondo per il suo sistema industriale. La visione è chiara e gli intenti coerenti con le necessità del Paese. L’auspicio è che alla ingente dotazione di risorse rese disponibili, possa poi corrispondere una concreta capacità di execution da parte dei soggetti pubblici e privati identificati quali attuatori delle linee programmatiche del Piano. Il Piano Transizione 4.0 si propone di porre rimedio ai principali limiti emersi nelle fasi attuative dei precedenti. L’Italia è un Paese che vede una netta prevalenza di PMI, e nel quale si sono acuiti i fenomeni di skills-gap (la quota dei laureati, in special modo quelli in discipline STEM, è strutturalmente inferiore a quella della media dei Paesi con cui siamo soliti confrontarci) e di skills-mismatch (per cui una quota rilevante di lavoratori detiene competenze disallineate rispetto ai reali fabbisogni delle aziende, con un divario che tende ad allargarsi quanto più si intensifica la trasformazione digitale di queste ultime). Oltre a favorire l’accesso delle PMI ai benefici del Piano, è quindi necessario dotare queste imprese delle competenze necessarie per una piena integrazione delle nuove tecnologie nei loro processi. Non si tratta solo di operazioni di retrofitting tecnologico, ma di interventi volti a comprenderne il potenziale di business. È pertanto necessario investire nello sviluppo di capitale umano coerente, in grado di fungere da abilitatore e leva per qualificare e aumentare la produttività del sistema industriale Italiano. Questo deve avvenire partendo dalle scuole superiori e dalla formazione universitaria, con l’obiettivo di colmare il gap esistente – vero freno allo sviluppo – di abbattere la piaga dell’abbandono scolastico e di favorire l’occupazione giovanile.

 

L’Italia è un Paese in cui uno dei più elevati tassi di disoccupazione si affianca tristemente a uno dei più bassi tassi di scolarità e formazione superiore. L’investimento in capitale umano ha ritorni di medio periodo, ma in assenza di una politica che favorisca interventi in tecnologie e in competenze utili al suo efficace impiego, il ritardo non può che acuirsi.

 

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