Consumi & costumi

Lo shock demografico (forse) inaspettato

Il trend

Siamo troppi sul pianeta e questo porta inevitabilmente all’apocalisse: questa narrazione è smentita da un recente report Ipsos da cui emerge che il trend di crescita della popolazione mondiale non è fuori controllo come spesso si è affermato. Oggi siamo in 7,8 miliardi di persone e nel giro di qualche decennio saremo 8,5 miliardi, dopodiché comincerà il declino demografico.
Sorprendente, ma fino a un certo punto, se si considera che le forze motrici del declino sono già in atto e percepibili in diversi aspetti della vita quotidiana. Naturalmente la pandemia fa la sua parte e potrebbe rendere più veloce il declino demografico: la popolazione stava già diminuendo in 20 Paesi prima della pandemia e le previsioni indicano che gli effetti del Covid-19 porteranno al declino demografico 30 o più Paesi entro il 2050 o anche prima.
La questione non tocca solo i Paesi sviluppati come l’Europa occidentale e alcuni Paesi asiatici, ma anche – e qui forse c’è la sorpresa maggiore – i mercati in via di sviluppo.
Le implicazioni in termini di politiche pubbliche e strategie di mercato sono notevoli.

Alcuni punti salienti

L’indagine dell’Ipsos si concentra sui 10 Paesi più popolosi prima della pandemia, ovvero, in ordine decrescente: Cina, India, Usa, Indonesia, Pakistan, Brasile, Nigeria, Bangladesh, Russia, Giappone.
Le proiezioni al 2100 indicano che la Cina perderà circa 600 milioni di abitanti e l’India quasi 300 milioni, in pratica 3 volte la popolazione attuale degli Stati Uniti. Questa perdita sarà solo parzialmente compensata da una crescita significativa nella maggior parte dei Paesi africani (entreranno nella top 10 Congo, Etiopia, Tanzania e Egitto).
Sono 3 i fattori che interagiscono a tale calo: urbanizzazione, fertilità e invecchiamento. Se nel 1960 un terzo dell’umanità viveva in città, oggi siamo al 60 per cento; questo implica famiglie più piccole, maggiore empowerment delle donne (madri più mature e meno figli) e un generale invecchiamento della popolazione. Anzi, si può già dire che l’attuale crescita della popolazione è sostenuta non da un maggior numero di figli, ma dall’allungamento dell’aspettativa di vita (per esempio, in Cina, in un secolo, di 36 anni; in India di 32 e in Nigeria di 26 anni). Nelle 10 Nazioni più popolose, il tasso di natalità è già oggi sotto il tasso di sostituzione considerato naturale (2,1), a eccezione della Nigeria, in cui comunque appare in diminuzione rispetto al 1960.
The Brookings Institute, inoltre, stima, per esempio, che negli Usa nasceranno 300.000 bambini in meno causa Covid-19 e in Cina, l’anno scorso, il declino delle nascite è stato del 15 per cento. L’ipotesi che il lockdown (combinato a un ridotto accesso al controllo delle nascite nei Paesi in via di sviluppo) porterebbe a un baby-boom rimane solo un’ipotesi, non suffragata da dati.
Il rapporto suggerisce di tenere nella massima considerazione le implicazioni in termini di policy e di mercato. I «Perennials» dovranno essere sempre più al centro dell’attenzione nel disegnare ed erogare prodotti e servizi e i big spender non saranno prevalentemente, come si ritiene, i più giovani, anche perché questi – definibili generation anxoius – compreranno, per esempio, meno case della generazione precedente e in generale andranno più verso una logica di accesso/affitto che di possesso. Facendo anche meno figli, il mercato quindi subirà una trasformazione di domanda e offerta.

 

Lo shock demografico (forse) inaspettato

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