Carbon Farming, Agricoltura rigenerativa e la strada verso l’agricoltura sostenibile: prospettive dagli attori del settore.

Il Next Generation Farming, è l’evento annuale di AGRI Lab - Romeo ed Enrica Invernizzi Agribusiness Research Initiative di SDA Bocconi School of Management, in collaborazione con ANGA - Giovani di Confagricoltura e Giovani Imprenditori di Federalimentare, che traccia le priorità di studio ascoltando la voce e le istanze dei protagonisti dell’agribusiness italiano ed europeo. In questa seconda edizione, gli ospiti che si sono avvicendati sul palco hanno portato la discussione sull’agricoltura rigenerativa e il carbon farming a un nuovo livello, con applicazioni e punti di vista molto concreti. L’applicazione estesa delle pratiche di agricoltura rigenerativa potrebbe essere infatti la nuova rivoluzione agro-industriale, in grado di creare un modello produttivo che non depaupera gli ecosistemi e sfrutta le caratteristiche del suolo per sequestrare CO2 dall’atmosfera. Una rivoluzione che i gruppi industriali stanno promuovendo sulla filiera a monte con ingenti investimenti e che può contribuire significativamente ai piani di carbon neutrality delle filiere del cibo.

L’intervento inaugurale del Rettore dell’Università Bocconi Prof. Gianmario Verona ha ricordato i risultati che il Lab ha conseguito grazie al contributo della Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi: oltre 8000 giovani da tutto il mondo hanno imparato i fondamenti del settore attraverso il MOOC dell’AGRI Lab su Coursera, 50 giovani imprenditori e tecnici del settore italiano hanno partecipato al corso Agribusiness di SDA Bocconi; il software CoCoA Business Simulation per la gestione finanziaria dell’azienda agricola; 4 report di ricerca, diversi articoli e un manuale per la gestione delle aziende agricole con il contributo di 14 docenti che verrà pubblicato nella primavera del 2022.

Risultati che il Dott. Gianantonio Bissaro, consigliere delegato della Fondazione Invernizzi, ha collocato nell’ambito di un profondo cambiamento già in atto e da cui il settore deve essere in grado di cogliere l’opportunità di rinnovarsi, attraverso la tecnologia, ma anche attraverso un diverso approccio imprenditoriale che deve porre terra e pianeta Terra al centro della propria azione. Non più solo produzione di cibo, fibre e carburanti, ma una produzione di valore materiale e immateriale nella transizione a un futuro più sostenibile, anche assumendo un ruolo di primo piano nella lotta al cambiamento climatico.

Una produzione ecosystem-based e non più basata sugli input (biologici o meno che siano) non è filosofia, ma è anzi oggi forse lo strumento che più di qualsiasi altra tecnologia può raggiungere questi obiettivi. Per il Prof. Vitaliano Fiorillo, Direttore di AGRI Lab, l’agricoltura ecosystem-based, di cui l’agricoltura rigenerativa è espressione concreta, è una questione di efficienza nell’utilizzo degli asset. Dal punto di vista meramente operativo, l’attenzione si sposta dall’iperfocalizzazione sulle rese (che pure non vengono trascurate) al suolo, l’asset produttivo più importante per un’azienda agricola che, nell’agricoltura industriale dei decenni scorsi, è stato spesso considerato quasi solo un substrato per la chimica e i mezzi meccanici. L’agricoltura rigenerativa può rappresentare una vera rivoluzione, sia come chiave per la transizione a modelli produttivi meno impattanti, sia come fonte di nuovi ricavi provenienti dalla capacità di sequestrare CO2 nel suolo e contribuire significativamente a bloccare l’innalzamento della temperatura, così come previsto dagli accordi di Glasgow.

Secondo Francesco Mastrandrea, Presidente di ANGA – Giovani di Confagricoltura, il carbon farming è una delle strade maestre da seguire nel percorso verso la sostenibilità del settore agricolo e può diventare il terzo business della aziende agricole in Italia dopo la produzione di cibo e biomasse. Se l’agricoltura rigenerativa ha dimostrato di migliorare la fertilità dei suoli, di ridurre l’apporto di fertilizzanti e il fabbisogno idrico, la sua declinazione nel carbon farming necessita di maggiori investimenti in ricerca per determinare il potenziale di assorbimento dei terreni con esattezza, ma anche per definire regole chiare di un mercato in cui si scambino valori credibili, basati su standard condivisi.

Regole e standard che devono essere condivisi lungo tutta la filiera, affinchè questa transizione si traduca in un’opportunità anche per le industrie dell’agroalimentare, oggi più esposte all’opinione pubblica e chiamate a conoscere e ridurre l’impatto dei propri prodotti lungo tutto il ciclo di vita. Questo è quanto ha affermato Alessandro Squeri, Presidente dei Giovani Imprenditori di Federalimentare, che ha inoltre ricordato come la fase di trasformazione e distribuzione sia in realtà responsabile di una parte minoritaria delle emissioni ascrivibili al ciclo di vita dei prodotto alimentari, soprattutto se comparata alla produzione agricola o alla deforestazione. Ciò non di meno, sono le industrie a generare la domanda di prodotti agricoli ed è giusto che siano inserite nel framework più ampio che regoli la transizione alla carbon neutrality.

Un percorso che Barilla ha intrapreso già da diverso tempo e attraverso molteplici azioni, così come ha presentato Paolo Barilla, Vice-Presidente del Gruppo Barilla. Un percorso concreto in cui Barilla ha investito ingenti capitali, non solo per orientare le scelte di consumo verso diete più sostenibili (vedi Doppia Piramide Alimentare elaborata dal Barilla Centre for Food and Nutrition), ma anche per ingaggiare direttamente i produttori agricoli che si trovano in cima alla value chain dei prodotti Barilla. Paolo Barilla ha ricordato come il prodotto alimentare organoletticamente “buono” sia sempre la base indispensabile per competere sul mercato, ma oggi le proprietà organolettiche sono solo una parte della competizione che deve necessariamente orientarsi ad altri elementi: salubrità, valore nutrizionale e valore ambientale e sociale.

Ne è un esempio WASA, il marchio Barilla di origini svedesi noto per i suoi prodotti a base di segale e da sempre sinonimo di sostenibilità e integrità. Il “Caso WASA” è emblematico di come l’industria alimentare possa guidare il cambiamento, lo ha spiegato Katarina Waak, Global Marketing Manager di WASA, mostrando come, attraverso una serie di azioni estremamente concrete e un approccio scientifico alla sostenibilità lungo tutta la supply chain, WASA sia diventato il primo brand Barilla completamente carbon neutral. Un successo di cui poche aziende alimentari oggi possono fregiarsi e possibile grazie alla collaborazione con Indigo Ag., l’azienda statunitense dedicati ai servizi per gli agricoltori che lo scorso anno ha chiuso un round di investimenti da oltre mezzo miliardo di dollari. Nicholas Towle, Head of Carbon Europe di Indigo, attraverso il Caso WASA, ha speigato come avvenga il calcolo, la registrazione e la vendita dei crediti di carbonio generati attraverso l’agricoltura rigenerativa. L’azienda, che ha certificato già oltre un milione di ettari negli Stati Uniti, utilizza modelli approvati dalla comunità scientifica per determinare la quantità di carbonio sequestrata nel suolo attraverso l’agricoltura rigenerativa, accompagna le aziende agricole nel processo di cambiamento delle pratiche fino alla certificazione dei crediti generati e si occupa poi di vendere i crediti alle aziende che devono compensare le proprie emissioni in qualsiasi settore industriale. Un processo scientificamente solido e comprovato, che in europa richiederà ancora qualche tempo per svilupparsi, non solo per la normativa, ma anche per la necessità di raccogliere e analizzare dati di un maggior numero di coltivazioni e suoli rispetto agli USA, con rotazioni più complesse e articolate.

Se è chiaro dunque che la transizione sia ormai un fatto ineludibile a cui le aziende di tutto l’agribusiness italiano ed europeo devono prepararsi, è altrettanto vero che questa transizione andrà finanziata e, per farlo, sarà necessario il supporto dei sistema bancario. Un ruolo di cui è ben consapevole Vittorio Ratto, Vice-Direttore Generale di Credit Agricole, che ha dichiarato come il gruppo stia già studiando nuove soluzioni e prodotti per accompagnare la transizione e consentire alle aziende del settore di rimanere competitive. Ancora una volta tuttavia è il settore agricolo quello su cui bisogna lavorare di più, soprattutto per avere una chiara interpretazione delle performance economico-finanziarie delle aziende agricole e delle potenzialità nella conversione a pratiche produttive più sostenibili. Un obiettivo condiviso da Credit Agricole in una partnership di recente siglata con l’AGRI Lab di SDA Bocconi che prenderà il via con un importante progetto di ricerca proprio su questi temi.

Il ciclo di interventi si è concluso con una vera e propria “chiamata alla responsabilità” da parte di Diana Lenzi, neoeletta Presidente italiana del CEJA (Consiglio Europeo dei Giovani Agricoltori). Piaccia o no, l’opinione pubblica oggi è molto più informata e ha forti istanze nei confronti del mondo agricolo e la nuova politica agricola comunitaria, richiede necessariamente che l’agricoltore faccia la sua parte nel percorso verso la sostenibilità. Nel suo intervento, Lenzi ha sottolineato con forza come l’agricoltura debba oggi essere parte della soluzione, attraverso la tecnologia e, soprattutto, attraverso un nuovo approccio nella gestione dei fondi destinati all’agricoltura. La sfida è rendere l’agricoltura più resiliente e competitiva e per farlo, dovremo saper cambiare, favorire il ricambio generazionale e impiegare gli strumenti normativi così come oggi sono stati riprogettati.

In sintesi, l’evento ha evidenziato come il futuro sia ancora molto fluido e lo sarà per tutte le aziende, non solo quelle agricole. L’agricoltura rigenerativa e il carbon farming non saranno la panacea di tutti i mali, nè questo sarà l’ultimo cambiamento, né possiamo pensare che ci sia un’ultima sfida, ma combattere per mantenere lo status quo è un’imperdonabile spreco di risorse.

Oltre a cambiare le pratiche in campo dovremo cambiare i processi di tutta la filiera, dovremo favorire una sorta di integrazione virtuale della filiera attraverso la tecnologia per avere maggiore visibilità su processi, la chiara definizione e trasparenza degli obiettivi la condivisione delle informazioni tecniche e di mercato end-to-end ma anche una gestione dei rischi end-to-end e, soprattutto, una formazione end-to-end.

Solo attraverso la formazione infatti potremo imparare a comprendere i fenomeni che stanno cambiando la struttura stessa del sistema, comprendere la complessità per cercare una strategia di adattamento e progettare così una strategia efficace per superare qualsiasi sfida.



SDA Bocconi School of Management