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L'arte di coltivare nuovi leader

Essere leader non è (solo) occupare una posizione di comando, ma un viaggio continuo di autoperfezionamento e di ispirazione per gli altri. Tradizionalmente, la figura del leader viene vista come il fulcro intorno al quale ruotano tutte le decisioni e gli sviluppi di un team o di una organizzazione. Tuttavia, l’approccio più moderno – quello collaborativo - suggerisce che una delle responsabilità fondamentali della leadership sia quella di creare nuovi leader.

Facile a parole, molto difficile nei fatti.

Chi infatti si trova di fronte alla necessità di sperimentare questo nuovo stile di leadership, manifesta il più delle volte una grande resistenza nel farlo. Come mai? Perchè incombe la minaccia rappresentata dalla possibile creazione di leader migliori di sé. Tale percezione di minaccia nasce principalmente da tre timori: l'erosione del controllo, la possibilità di essere superati o sostituiti, e la perdita d’identità. In un ambiente top-down, le decisioni fluiscono dall’alto verso il basso, e il controllo stretto sulle operazioni e le strategie è visto come cruciale per il mantenimento dell'ordine e l'efficienza. L'idea di sviluppare individui che potrebbero non solo mettere in discussione, ma modificare o migliorare queste direttive, può essere vista come un rischio per l'autorità stabilita del leader. C'è la paura che promuovere l'autonomia possa portare a una perdita di coesione, con leader emergenti che potrebbero spingere per cambiamenti radicali non allineati con la visione originale. Oltre a questo, vi è il timore più viscerale per un leader tradizionale che è quello di render se stesso obsoleto. Creare leader che possono superare le proprie capacità implica il rischio di essere superati nel proprio gioco. Questo è particolarmente problematico in ambienti competitivi, dove la performance individuale è spesso valutata in confronto diretto con quella degli altri. Il leader che ha facilitato l'ascesa di tali talenti potrebbe quindi trovarsi in una posizione vulnerabile, potenzialmente a rischio di perdere il proprio ruolo a favore di chi è stato mentore. Esiste, infine, anche una componente emotiva e psicologica significativa. In molti casi, la resistenza a decentralizzare il potere deriva da un profondo senso di identità e valore personale legato alla posizione di leader. Ammettere che altri potrebbero fare meglio può essere interpretato come una debolezza, minando la propria autostima e il rispetto per sé stessi all'interno dell'organizzazione.

Contrariamente al modello top-down, quello collaborativo incoraggia il leader a riconoscere e accettare i propri limiti. Ammettere di non sapere tutto non solo umanizza il leader, ma apre la porta a opportunità di apprendimento collaborativo e di sviluppo condiviso. L'umiltà permette al leader di ritirarsi dal ruolo di unica fonte di autorità e saggezza, facilitando un ambiente in cui i membri del team possono cercare e trovare guida in altre figure autorevoli. Uno degli atti più umili che un leader può compiere è proprio quello di esporre deliberatamente i propri collaboratori a mentori esterni o ad altre autorità nel loro campo. Questo non solo diversifica le fonti di apprendimento ma introduce nuove prospettive e modalità di pensiero che possono arricchire la comprensione e le competenze del team. Inoltre, facilitare incontri e dialoghi al di fuori dei rapporti gerarchicamente prestabiliti permette ai membri del team di testare e superare i propri limiti, e di costruire reti professionali che saranno preziose per la loro carriera futura.

L’arte di creare nuovi leader richiede una visione della leadership che sia tanto inclusiva quanto umile. Riconoscendo i propri limiti e facilitando l'esposizione a diverse fonti di autorità e saggezza, un leader non solo potenzia la sua organizzazione, ma pone le basi per una nuova generazione di leader capaci di pensare criticamente e agire autonomamente. In questo modo, la leadership diventa non un ruolo statico di comando, ma un dinamico facilitatore di crescita e innovazione.

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