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Il doppio volto del contatto con l'utenza: motivante o stressante?

Uno dei contributi più recenti e rilevanti sul tema della motivazione e con ampia eco soprattutto nei servizi pubblici è la teoria di Adam Grant sul “relational job design” che possiamo tradurre come design del lavoro relazionale. La sua ricerca ha dimostrato che disegnare l’esperienza di lavoro in modo da facilitare le interazioni e le connessioni tra i dipendenti e con i beneficiari del servizio aumenta la motivazione e la produttività. In, sintesi, 

i lavori che offrono ai dipendenti l'opportunità di avere un impatto positivo sugli altri e di interagire con loro possono aumentarne la motivazione.

Questa motivazione può portare a comportamenti e risultati positivi, come un miglioramento del benessere dei dipendenti e un aumento della produttività.

Nel raccontare di questo framework in un’aula di dirigenti di un comune medio-grande, il giovane dirigente dell’anagrafe aggrotta le sopracciglia con l’aria di chi ha sentito una cosa davvero bizzarra. Nei suoi servizi, stare allo sportello è come andare all’inferno. E lui è molto contento di essere riuscito a costruire un nuovo sistema di turni che consenta a tutti gli operatori di avere anche delle ore di backoffice, senza ridurre gli orari di apertura: “da noi, al contrario, la produttività è aumentata riducendo il tempo di esposizione delle persone alla fatica del lavoro relazionale!”.

 

Che il contatto con l’utenza sia anche fonte di stress è ben documentato in letteratura e noto a tutti quelli che conoscono gli sportelli:

far fronte a richieste complesse, urgenti o conflittuali dell'utenza può generare un elevato livello di stress.

Interagire con utenti arrabbiati perché le loro richieste non possono essere soddisfatte, o impazienti per via dei tempi del servizio su cui gli operatori hanno poco impatto, o utenti poco collaborativi perché diffidenti, può essere molto stressante. Ed è ben noto che l'esposizione prolungata a situazioni stressanti può portare al burnout, una condizione caratterizzata da esaurimento emotivo e cinismo, condizione che può indurre gli operatori ad essere a loro volta scontrosi e talvolta anche aggressivi e persino un po’ sadici con l’utenza. Insomma, altro che motivazione!!

 

Ma allora, il contatto con l’utenza fa bene o fa male ai dipendenti? Migliora la motivazione o la distrugge?

 

In uno studio che stiamo finalizzando con alcune colleghe di SDA Bocconi (Elisabetta Trinchero, Lorenza Micacchi ed Eleonora Perobelli) su una platea di circa 300 assistenti sociali è emerso in maniera molto netta che il contatto coi beneficiari, soprattutto per chi patisce di più i vincoli burocratici che regolano l’erogazione del servizio, è fonte di esaurimento emotivo, che è una delle manifestazioni del burnout. Nello stesso studio emerge che

questo rischio burnout si riduce in maniera significativa in presenza di un capo in grado di orientare l’esperienza di contatto con l’utenza

attraverso due leve, principalmente: fiducia verso l’operatore che percepisce così di avere una buona autonomia nel suo ruolo; sostegno alla motivazione pro-sociale grazie alla capacità del capo di aiutare i collaboratori a interpretare la propria funzione e a vederne gli impatti positivi sull’utenza. In altre parole, 

un elemento che fa da filtro all’esperienza di contatto con l’utenza e che la trasforma da potenziale fattore di rischio a vettore di motivazione e generosità organizzativa è la leadership.

Questi dati dimostrano che nel mestiere di chi coordina un servizio all’utenza, accanto al tempo dedicato al disegno delle operations (i turni, gli orari di apertura, il monitoraggio della qualità del servizio, etc…) deve trovare spazio anche un tempo da dedicare agli operatori per consolidare il loro senso di autonomia e perché la loro interpretazione dell’esperienza di contatto con l’utenza venga accompagnata, insieme alle rappresentazioni dell’impatto che si intende generare. Ed è un terreno su cui gli strumenti di lavoro non mancano.  

“Ma dove lo troviamo il tempo?” mi sono sentita chiedere. Si recupera dal tempo che si riduce nel gestire il conflitto, l’assenteismo e i costi collegati ai primi segnali di burnout, sempre troppo sottovalutati.  

Si tratta di un investimento, che genera non solo servizi pubblici di maggiore qualità, ma anche posti di lavoro più sereni e, forse, anche una vita da capo più gratificante.

 

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