#ValorePubblico

Campioni d’Europa!

Ho deciso di cedere alla tentazione di dedicare questo post alla vittoria dell’Italia di ieri sera, anche se evidentemente non è un blog sullo sport, né ho molto da dire sul calcio. Ma è mi piace pensare possa essere metafora di questo tempo, fatto di obiettivi sfidanti, ma non impossibili.

Nel flusso dei social in festa che scherniscono l’arroganza inglese col tag #itsComingRome, mi colpisce il pezzo di un tweet: “che poi non è che i treni a Londra arrivino così puntuali”. Si sa, questo Paese fa meno fatica a stringersi a coorte quando gioca la Nazionale che dopo una pandemia globale. Ma ha un sapore amaro questo moto di orgoglio patrio che, invece di ribellarsi agli stereotipi sulla presunta scarsa affidabilità del Bel Paese, si accontenta di rivendicare che non è poi solo un problema nostro. Che sia vero o no (consapevole dell’irrilevanza statistica della mia osservazione, scrivo da un puntualissimo interregionale) questo tweet mi rimanda tutta la fatica di riuscire anche solo a pensarsi capaci e all’altezza, soprattutto quando si tratta di istituzioni e servizi pubblici. Eppure, se c’è una fase storica in cui abbiamo potuto apprezzare il valore e la capacità di tenuta di sanità, scuola e servizi di welfare, per quanto nel pieno di contraddizioni ed aspetti del tutto insoddisfacenti ed ampiamente migliorabili, è questa.

 

Quando sono più di 50 anni che non vinci gli europei, quando agli ultimi mondiali non ti sei nemmeno qualificato, quando hai una squadra dove non ci sono superstar e sono in pochi ad avere consuetudine con vittorie importanti, è difficile crederci. Però, non parliamo di una maglia priva di qualunque tradizione calcistica che arriva a sorpresa in finale, ma di una che ha vinto anche i mondiali meno di 20 anni fa, protagonista nel tempo di imprese eroiche di cui i meno giovani hanno viva memoria. E così, tra un susseguirsi di colpi di scena, più con la tenacia e la disciplina, che con la fantasia che ci piace attribuirci, ieri sera è arrivato il risultato.

 

Oltre quindici anni fa The Economist dedicava all’Italia – la sua economia, non il suo calcio – una famosa copertina-profezia: “the real sick man of Europe”.  Ma ora potremmo assistere ad un cambio di passo. È notizia di pochi giorni fa che la Commissione UE ha rivisto verso l’alto le stime per l’Italia, rispetto a quelle avanzate in primavera (da +4.2% a 5%): l’export del primo trimestre del 2021 supera non solo quello del 2020, ma anche il ‘record’ del 2019; il debito sembra più sopportabile grazie a una politica dell’euro più tollerante verso un poco di inflazione (target a 2%); il piano di investimenti e riforme senza precedenti (PNRR), incluso il pacchetto PA, ha ricevuto valutazioni molto positive. Purtroppo (o per fortuna) non è come giocarsela ai rigori: le riforme non basta prometterle, occorre farle, per norma – dove serve – e soprattutto per pratica. Ci va il tempo e le variabili sono molte. Ma non è una meta impossibile. Forse si può ambire ad essere campioni d’Europa anche fuori dagli stadi. Forse, si potrebbe persino provare ad immaginare di diventare un Paese che funziona in un modo di cui essere garbatamente fieri.

SHARE SU