
Mani invisibili, valore duraturo: il ruolo strategico delle filiere italiane
“The Italian code” è un blog sul Made in Italy e sulle industrie ad alta intensità simbolica, coordinato da Gabriella Lojacono.

Dietro ogni capo impeccabilmente cucito o ogni orologio sapientemente realizzato si cela una filiera composta da PMI altamente specializzate, spesso a conduzione familiare e talvolta attive da secoli. In Europa, e in particolare in Italia, questo ecosistema nascosto rappresenta la spina dorsale di molti settori. Il vantaggio competitivo nello scenario globale non riguarda semplicemente il valore del marchio: riguarda la maestria, la continuità e quel know-how radicato nei territori e trasmesso di generazione in generazione.
L’Italia si è a lungo specializzata in nicchie manifatturiere di alta gamma—prêt-à-porter, calzature, pelletteria, alta gioielleria, cosmetica, occhialeria—dove la sua filiera non ha rivali. Ma il sistema è fragile. Le sfide includono il passaggio generazionale, la scarsa attrattività verso i giovani e risorse limitate che ostacolano investimenti in formazione, modernizzazione o sviluppo internazionale. A ciò si aggiunge la volatilità dei mercati: ai fornitori viene spesso richiesto di essere ultra-flessibili senza garanzie di volume, creando una fragilità strutturale nonostante l’eccellenza tecnica.
Come preservare dunque questo patrimonio industriale inestimabile? Sta emergendo una nuova ondata di integrazione responsabile delle filiere:
- Gruppo Florence, ad esempio, ha aggregato 37 laboratori in 9 regioni italiane, impiegando oltre 4.500 persone e producendo più di 7 milioni di articoli di lusso all’anno. Costruendo scala senza compromettere l’integrità artigianale, Florence offre un modello di resilienza sistemica.
- In Francia, iniziative come LVMH Métiers d’Art e Paraffection di Chanel mirano a salvaguardare e coltivare l’eccellenza artigianale attraverso partnership di lungo periodo e partecipazioni nelle manifatture.
Oltre alle iniziative promosse dai gruppi, diversi marchi del lusso sono intervenuti direttamente:
- Golden Goose nel 2022 ha acquisito il suo fornitore di sneaker IFT, con sede nel Salento, per garantire continuità creativa e produttiva. Oggi Golden Goose esternalizza circa il 60% della produzione; il resto avviene internamente.
- Kering Eyewear nel 2025 ha investito in Lenti per rafforzare internamente qualità e innovazione.
- Cartier continua a espandere la propria presenza industriale in Italia con un sito d’eccellenza a Torino e un nuovo stabilimento in arrivo a Valenza, storico distretto orafo.
- Il Gruppo Prada sta investendo attivamente nella propria rete di fornitori per garantirne resilienza e tracciabilità. Nel giugno 2025 ha acquisito una quota di minoranza del 10% in Rino Mastrotto Group. Come parte dell’operazione, Prada ha inoltre conferito il 100% di Conceria Superior S.p.A. e Tannerie Limoges S.A.S. in Rino Mastrotto, consolidando la propria infrastruttura di lavorazione della pelle.
Queste iniziative segnano un cambiamento strategico: l’artigianalità non è più solo un racconto di marketing. È un asset centrale che richiede tutela, governance e investimenti di lungo periodo.
Mentre il settore del lusso europeo affronta nuove sfide globali, proteggere le sue “mani invisibili” non significa solo salvaguardare un’eredità. Significa sostenere il futuro del vantaggio competitivo.
Per comprendere meglio il ruolo delle filiere italiane nello scenario internazionale, abbiamo chiesto a Cyrille Vigneron (in foto), chairman of culture and philanthropy di Cartier International, recentemente entrato a far parte della faculty SDA Bocconi, di riflettere su questi cambiamenti e condividere la sua visione.
Cartier ha realizzato investimenti significativi e di lungo periodo in Italia, tra cui il sito manifatturiero della Maison a Torino—già punto di riferimento per l’industria della gioielleria—e il nuovo stabilimento in arrivo a Valenza, situato nel cuore di uno dei più importanti distretti mondiali dell’alta gioielleria. Nel nostro dialogo abbiamo approfondito le motivazioni alla base di questi investimenti, come attori globali come Cartier collaborino con il savoir-faire italiano e quali prospettive si aprano per il futuro del vantaggio industriale e culturale dell’Italia nella produzione di lusso.
GL: Cartier attribuisce da sempre grande valore all’artigianalità e alla tradizione culturale. Cosa ha motivato la decisione di investire direttamente in siti produttivi italiani come Torino e Valenza?
CV: La decisione è stata presa circa 20 anni fa. Con il rapido sviluppo dei volumi nella gioielleria, la scelta strategica fu quella di bilanciare tre paesi - Francia, Svizzera e Italia. Prima acquisendo fornitori chiave, poi ampliandone il savoir-faire.
GL: Perché proprio Torino e Valenza?
CV: Valenza è un polo tradizionale della gioielleria, con molte aziende specializzate. Torino era una storia diversa. Non c’era una tradizione orafa, ma una forte base industriale sviluppata attorno all’automotive. Costruire uno stabilimento a Torino mirava a creare il miglior ibrido possibile tra industria e artigianalità. Ha funzionato molto bene, dando vita a un nuovo polo della gioielleria in Italia.
GL: Quali sono le principali differenze - tecniche o culturali - tra Francia, Italia e Svizzera?
CV: Con l’orologeria e altri settori, la Svizzera possiede un know-how industriale molto solido. Francia e Italia hanno una forte tradizione orafa, soprattutto nello stampaggio, nella gioielleria e nell’incastonatura delle pietre. La cross-fertilization tra queste competenze permette di sviluppare nuove tecniche, migliorare l’incastonatura negli orologi o realizzare componenti semi-industriali nella gioielleria.
GL: Come possono le maison gestire l’equilibrio tra capacità produttiva interna ed esterna in Italia?
CV: Quando esiste un ecosistema solido come quello italiano, l’ideale è padroneggiare tutto il know-how internamente, ma anche ricorrere a subfornitori, sia per elementi molto specifici (come catene o chiusure) sia semplicemente per capacità produttiva. Una gestione collettiva della capacità è più stabile e consente più facilmente di raggiungere la massa critica necessaria per investire in nuove tecnologie.
GL: Quali iniziative possono supportare o “valorizzare” l’ecosistema locale e il know-how—dagli artigiani alle PMI, fino agli enti formativi?
CV: Poiché è necessario attrarre talento, è importante sviluppare relazioni con università e scuole professionali, e talvolta crearne di proprie, come è stato fatto a Torino.
GL: Quali sono, a suo avviso, i punti di forza competitivi della filiera italiana del lusso oggi, e quali le vulnerabilità da affrontare per il futuro?
CV: La forza competitiva risiede nella diversità dei saperi e nella capacità di lavorare in ecosistema. La vulnerabilità deriva dalle dimensioni relativamente ridotte di molti attori, che faticano ad affrontare shock economici e spesso non dispongono delle risorse necessarie per investire e rimanere performanti. Le aziende di piccola dimensione hanno anche più difficoltà ad adattarsi ai recenti obblighi in materia di CSR.
GL: L’ecosistema italiano è attrattivo a livello globale?
CV: Lo è, anche oltre il gruppo Richemont. Poiché la gioielleria è diventata una categoria sempre più interessante per maison provenienti da altri settori come moda e accessori, l’ecosistema italiano è molto richiesto.
GL: Guardando al prossimo decennio, come può l’Italia mantenere - o addirittura rafforzare - la propria posizione strategica nel panorama globale del lusso?
CV: La chiave è continuare a investire in nuove tecnologie e imparare a gestire i cicli della domanda, che presentano oscillazioni più frequenti. Il know-how nella gioielleria richiede tempo per essere costruito e ha bisogno di stabilità. Un ecosistema solido può offrire questa stabilità.
GL: Cartier è spesso associata non solo ai prodotti, ma anche all’impegno culturale e a una visione di lungo periodo. In che modo questo approccio influenza le vostre partnership nei territori come l’Italia?
CV: La decisione di investire nella manifattura in Italia è stata presa 20 anni fa e prosegue tuttora. Gran parte del progetto consisteva nel costruire relazioni solide con una rete di partner, crescendo insieme. I grandi investimenti a Torino e Valenza miravano a creare manifatture all’avanguardia, sia in termini di tecnologia sia di sostenibilità. Entrambi gli stabilimenti sono certificati LEED Platinum e utilizzano esclusivamente energia pulita. La presenza in Italia include anche una scuola professionale a Torino, solide relazioni con il Politecnico e una presenza culturale a Milano, Roma e Venezia.


