SDA Bocconi Insight Logo
Knowledge

Misurare ciò che non accade: il vero valore della prevenzione

Misurare ciò che non accade

Ogni crisi sanitaria, tecnologica o ambientale lascia una scia di costi e inefficienze. Eppure, nella sanità e nella pubblica amministrazione, la prevenzione continua a essere percepita come un costo tecnico, più che come una leva di valore. Valutarne l’impatto economico-finanziario permette invece di trasformarla in una scelta strategica e in una politica di fiducia verso i cittadini.

Una recente analisi condotta su 133 Comuni italiani con oltre 50.000 abitanti (2016–2022) ha mostrato come gli investimenti in prevenzione aumentino soprattutto dopo un’emergenza o una crisi: un’evidenza che aiuta a comprendere quanto sia urgente riportare la prevenzione al centro delle politiche pubbliche.

 

Prevenire costa, ma non prevenire costa di più

C’è un paradosso silenzioso che attraversa la sanità e la pubblica amministrazione e la sanità: tutti riconoscono l’importanza della prevenzione, ma quasi tutti la trattano come una voce accessoria, "non urgente." Eppure, ogni crisi — sanitaria, informatica, climatica — ci ricorda che non prevenire costa molto di più che prevenire.

Gli esempi, purtroppo, abbondano. L’attacco ransomware che nel 2017 paralizzò il sistema sanitario britannico costò 92 milioni di sterline (National Audit Office, 2018). Nell’alluvione dell’Emilia-Romagna del 2023, valutazioni ex post hanno stimato circa 8,5 miliardi di euro di danni diretti e indiretti, sulla base di indicatori precisi come le giornate di inattività produttiva, le  perdite agricole, i danni infrastrutturali. E nei nostri Servizi Sanitari Regionali, i principali driver di costo emergenziali del periodo 2019–2023, e i in particolare il Covid-19, il caro energia e il rischio di mercato,  hanno generato un incremento medio dei costi pari al 14%, evidenziando come fattori straordinari possano rapidamente consolidarsi in componenti strutturali dei bilanci sanitari regionali. Ogni volta, la stessa dinamica: le risorse si trovano per riparare, ma raramente per prevenire.

Che cosa ci dicono i dati

L’analisi condotta su 133 Comuni italiani con più di 50.000 abitanti per il periodo 2016–2022 ha mostrato, attraverso un modello di regressione, che le principali determinanti della spesa in prevenzione sono la disponibilità finanziaria, l’esposizione al rischio idrogeologico e da frana, la condizione edilizia e, soprattutto, l’esperienza pregressa di disastri. In altre parole, i Comuni che hanno subito un evento naturale tendono ad aumentare gli investimenti preventivi negli anni successivi. La prevenzione, quindi, non nasce dalla pianificazione, ma dalla memoria della crisi.

La spesa per la prevenzione rappresenta in media meno dello 0,5% dei bilanci comunali, con forti disomogeneità territoriali (fonte: ns elaborazioni su dati SIOPE, 2016–2022). Le regioni con maggiore rischio idrogeologico o sismico investono di più, ma spesso dopo un evento catastrofico. I Comuni più grandi, con maggiore capacità finanziaria, registrano una spesa media pro capite in prevenzione più alta (circa 14 euro annui), contro i 10–11 euro della media nazionale.

Come si misura il valore economico della prevenzione

Quando si parla di valore economico della prevenzione, la reazione tipica è di scetticismo: come si misura qualcosa che non accade? Eppure, in economia pubblica e in analisi costi-benefici si misura da sempre ciò che si evita: costi indiretti, inefficienze, impatti reputazionali. Valutare la prevenzione significa costruire un linguaggio economico per le scelte di lungo periodo.

Occorre tuttavia riconoscere che diverse metriche e approcci di valutazione si applicano a seconda del perimetro di riferimento. A livello macro (es. Unione Europea o Stati membri), si utilizzano indicatori di impatto sistemico e di benessere collettivo; a livello meso (territori, regioni, città), prevalgono metriche di performance economico-sociale e di continuità dei servizi; a livello micro (organizzazioni, aziende sanitarie, singole amministrazioni), l’analisi si concentra su costi evitati, tempi di ripristino, produttività, fiducia dei cittadini o reputazione.

Questa pluralità di prospettive implica l’apporto di diverse discipline: economiche, per la valutazione dei ritorni e dei costi evitati; manageriali e organizzative, per la misurazione della resilienza dei processi e delle strutture; tecniche e ingegneristiche, per la stima dei rischi fisici e infrastrutturali. La prevenzione, dunque, non è solo un investimento economico, ma una competenza interdisciplinare e multilivello.

Dalla teoria alla pratica

Un investimento di 500.000 euro in un sistema di backup informatico può evitare blocchi da 2 milioni di euro: un ritorno positivo, ma soprattutto un vantaggio reputazionale e operativo incalcolabile. Lo stesso vale per la manutenzione predittiva delle apparecchiature sanitarie o per la formazione del personale: ciò che sembra un costo ricorrente è, in realtà, una polizza sulla continuità del servizio.

La prevenzione deve essere letta nei processi, non solo nei capitoli di spesa. Ogni organizzazione, che sia  un’azienda sanitaria, un ente locale o un ministero, può individuare nei propri flussi operativi i punti in cui si generano vulnerabilità (e quindi opportunità di miglioramento). Quando la prevenzione viene integrata nei livelli di governance (strategico, manageriale e tecnico) smette di essere una pratica difensiva e diventa una competenza organizzativa condivisa.

Conclusione

Nella sanità e nella pubblica amministrazione, valutare la prevenzione è prima di tutto un atto di accountability: significa rendere visibile ciò che spesso resta invisibile: il valore del tempo risparmiato, dei danni evitati, della fiducia costruita. Prevenire costa, certo. Ma non prevenire costa molto di più in denaro, in reputazione e, soprattutto, in fiducia dei cittadini. E forse, in questo passaggio di epoca, è proprio questa la forma più alta di leadership pubblica: investire nel futuro prima che l’emergenza ce lo imponga.