

In Italia l’immobiliare conta moltissimo, ma non in Borsa. Nonostante un patrimonio nazionale tra i più consistenti d’Europa e un settore che nel 2023 ha generato il 19,5% del PIL, soltanto lo 0,06% del real estate commerciale è oggi rappresentato sul mercato azionario.
È una quota minuscola – la più bassa d’Europa – che rende l’Italia fanalino di coda rispetto a Paesi come la Spagna (3,2%), la Francia (1,8%) o la Svezia (5,9%). In un Paese dove l’immobiliare vale oltre mille miliardi di dollari, il mercato quotato pesa appena 0,07% dell’intera Borsa Italiana, contro il 3% medio europeo.
Una ricerca condotta da SDA Bocconi School of Management in collaborazione con il Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali (CNCC) fotografa questo paradosso e propone alcune soluzioni per invertire la rotta.
Il punto di partenza è critico: la capitalizzazione è ridotta ai minimi e gli investitori che si avvicinano a questo tipo di strumenti devono accettare sconti sul NAV (il valore netto degli asset) che nel 2024 hanno toccato il –75%, contro una media europea intorno al –25%.
Le domande
La ricerca vuole capire come rilanciare lo strumento delle SIIQ (Società di Investimento Immobiliare Quotate), introdotto in Italia nel 2007 ma mai davvero decollato. Le SIIQ sono società per azioni quotate che investono in immobili destinati alla locazione (non alla vendita) e dovrebbero consentire agli investitori di partecipare al mercato immobiliare in modo liquido e trasparente.
L’obiettivo della ricerca era duplice: da un lato, individuare le cause della scarsa diffusione delle SIIQ rispetto ai modelli REIT (Real Estate Investment Trust) adottati con successo in Spagna, Francia e Stati Uniti; dall’altro, capire quali riforme potrebbero rendere il mercato immobiliare italiano più attrattivo per investitori istituzionali e internazionali.
In altre parole: perché da noi il real estate quotato non funziona, e cosa possiamo imparare dai mercati che invece hanno saputo farlo crescere?
Lavoro sul campo
Il team SDA Bocconi ha analizzato in profondità il mercato immobiliare quotato italiano, confrontandolo con i principali casi internazionali — in particolare la Spagna, che con la riforma delle SOCIMI del 2012 ha trasformato un comparto marginale in un mercato da oltre 14 miliardi di euro di investimenti annui, +22% solo nel 2024.
L’indagine ha messo in luce tre elementi:
- Dimensioni ridotte del mercato – Le società immobiliari quotate italiane si contano sulle dita di due mani (sette o otto, a seconda delle fonti) e nel 2024 la loro capitalizzazione complessiva era di appena 600 milioni di euro, contro i 30 miliardi della Spagna o i 60 miliardi della Germania.
- Sconto sul NAV record – Le SIIQ italiane quotano mediamente a –75% rispetto al valore netto degli asset, segnale di una sfiducia strutturale del mercato.
- Normativa fiscale penalizzante – L’Italia è uno dei pochi Paesi europei a prevedere un’“entry tax” del 20% sul differenziale tra valore contabile e valore di conferimento dell’immobile. In Spagna, invece, la tassazione è rinviata al momento della vendita e le SOCIMI godono di un’aliquota IRES 0%.
Il confronto con il modello spagnolo ha consentito di formulare una serie di proposte di policy:
- Eliminare l’entry tax, rinviando la tassazione al momento della cessione degli immobili;
- Aprire ai capitali esteri, permettendo ai REIT stranieri di costituire e controllare veicoli SIIQ in Italia o di operare tramite SIIQ non quotate, sul modello SOCIMI;
- Creare un listino dedicato e un “entry package” semplificato per le SIIQ startup (asset > 50 milioni €);
- Rafforzare la trasparenza e gli incentivi per investitori istituzionali (fondi pensione, assicurazioni) allineandoli a Solvency II e Basilea III;
- Promuovere la cultura finanziaria sul ruolo dei REIT e del real estate quotato, oggi quasi ignoto agli investitori retail.
Guardando avanti
L’analisi conferma che il rilancio delle SIIQ è solo un tassello di una strategia più ampia per rafforzare il mercato dei capitali italiano, la cui capitalizzazione complessiva (39% del PIL) resta ben al di sotto dei livelli di Germania (52%) e Francia (109%).
Allineare la normativa nazionale ai modelli europei più efficienti permetterebbe di attrarre capitali privati e istituzionali, favorendo la rigenerazione urbana e l’efficientamento energetico di un patrimonio edilizio dove l’85% degli edifici residenziali è sotto la classe C.
L’economia italiana merita altri numeri, e Paesi simili al nostro, come la Spagna, dimostrano che un cambiamento è possibile. Ma per innescarlo serve una politica fiscale più efficace, capace di trasformare il mattone — oggi poco liquido e poco quotato — in un vero motore di sviluppo sostenibile e trasparente.





