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Le tecnologie di cui non stiamo parlando

La capacità di innovazione dell’Europa dipende da componenti poco glamour, ma che stanno silenziosamente diventando decisivi

22 dicembre 2025/DiNico Abbatemarco
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Nell’ultimo anno, le aziende di tutto il mondo hanno intrapreso una corsa a tutta velocità per adottare l’intelligenza artificiale. L’intensità è comprensibile. L’AI promette un salto di produttività e capacità decisionale, e i first movers intravedono la possibilità di rimodellare i propri settori mentre gli altri osservano dalla linea laterale.

Eppure, l’attuale entusiasmo è solo parzialmente giustificato. Nonostante la retorica di una trasformazione imminente, molte sfide fondamentali – tecniche, normative, organizzative e geopolitiche – restano irrisolte. I modelli sono costosi da addestrare, difficili da governare e fortemente dipendenti da hardware e infrastrutture cloud esteri. Lorenzo Diaferia ha recentemente scritto di questa corsa, cogliendo l’urgenza con cui le aziende stanno sperimentando, assumendo, ripensando processi e cercando di sfruttare l’AI prima dei concorrenti.

Tuttavia, è ragionevole presumere che gran parte di queste criticità verrà risolta nel tempo. La storia mostra che, quando gli incentivi sono abbastanza forti, gli ostacoli tecnici vengono prima o poi superati, le normative si adattano e le organizzazioni evolvono. Questa aspettativa ha però generato un effetto collaterale inatteso: poiché si dà per scontato che i problemi più difficili dell’AI verranno prima o poi risolti, la conversazione aziendale si è ristretta quasi esclusivamente alle applicazioni: come distribuire l’AI, come integrarla, come scalarla. Così facendo, rischiamo di ignorare le tecnologie che determineranno se l’Europa potrà davvero implementare l’AI.

 

Che cosa c’è sotto la superficie dell’AI

I componenti meno glamour sotto la superficie dell’AI (semiconduttori, fornitura di energia, capacità di calcolo, data center, infrastrutture di rete) stanno silenziosamente diventando le variabili decisive per la capacità di innovazione dell’Europa. Queste tecnologie non si prestano a demo spettacolari o video virali, ma senza di esse la rivoluzione dell’AI non può mettere radici. Nei prossimi anni, la competitività europea dipenderà tanto dalla rapidità con cui le aziende adotteranno strumenti di AI quanto dalla capacità del continente di costruire e mettere in sicurezza le fondamenta fisiche e digitali necessarie a sostenerli.

La prima sfida è il crescente collo di bottiglia nel computing. Le GPU e gli acceleratori avanzati sono diventati sia scarsi sia straordinariamente costosi, mentre la domanda globale continua a superare l’offerta. Le aziende europee devono affrontare non solo costi cloud più alti, ma anche una vulnerabilità più profonda: dipendere da infrastrutture non europee per operazioni critiche. Non è un semplice problema di costo; è una dipendenza strutturale che conferisce ai fornitori esteri un’influenza de facto sul ritmo dell’innovazione europea.

Anche quando l’hardware è disponibile, l’Europa si trova davanti a un altro ostacolo: la capacità dei propri data center. La regione è limitata dalla disponibilità di energia, dai vincoli della rete elettrica, da regolamentazioni ambientali stringenti e da processi autorizzativi lunghi. Costruire o ampliare i data center può richiedere anni. Mentre gli Stati Uniti e alcune zone dell’Asia stanno accelerando la costruzione su larga scala, molte strutture europee operano già vicino ai limiti e i nuovi progetti incontrano sempre più resistenza politica o regolatoria. Questo significa che le ambizioni europee sull’AI potrebbero presto superare gli spazi stessi destinati a ospitarle.

A complicare ulteriormente le cose c’è lo stato dell’infrastruttura di rete europea. Le applicazioni basate su AI non sono solo computazionalmente intensive; molte richiedono connessioni a bassa latenza e alta capacità per funzionare efficacemente. Eppure, l’Europa soffre ancora di una distribuzione disomogenea della fibra, di una diffusione relativamente lenta del 5G e di un mosaico di quadri regolatori che scoraggiano investimenti coordinati di ampia scala. A mano a mano che le industrie si spostano verso servizi di AI in tempo reale (come la logistica autonoma), la spina dorsale digitale del continente assomiglia meno a un’infrastruttura moderna e più a un vincolo. L’Europa non può costruire un’economia dell’AI su reti progettate per l’era dello streaming video.

La convergenza di carenza di capacità di calcolo, limiti dei data center e vincoli di rete sta creando una nuova forma di dipendenza. Sempre più spesso, il “computer” su cui aziende e individui fanno affidamento non è più il dispositivo sulla scrivania o il server nell’ufficio, ma un enorme cluster remoto controllato da pochi attori globali. E chi possiede la capacità di calcolo definirà le regole del gioco.

Per le aziende europee, questo cambiamento solleva domande strategiche che vanno ben oltre l’IT:

  • Che cosa significa dipendere da infrastrutture estere per operazioni mission-critical?
  • Quanto rende vulnerabili le imprese a shock di prezzo, interruzioni del servizio, pressioni politiche o controlli all’export?

La recente guerra fredda dei chip tra Cina e Paesi Bassi, incentrata sulle macchine litografiche di ASML, mostra che l’infrastruttura tecnologica è ormai un asset geopolitico. L’Europa non può permettersi di considerare queste dipendenze come dettagli marginali.

Le tecnologie solitamente ignorate nel dibattito pubblico meritano quindi molta più attenzione, perché potrebbero offrire all’Europa un modo per rimodellare l’economia sottostante l’AI. Nella dodicesima edizione del nostro HIT Radar, analizziamo diversi sistemi emergenti, che potrebbero svolgere un ruolo decisivo nella capacità europea di costruire un ecosistema digitale resiliente e competitivo.

 

Uno sguardo alle alternative emergenti

Nel deep tech, la storia europea più allineata al mercato è quella del photonic computing – l’uso della luce anziché degli elettroni per eseguire operazioni matematiche. Per le aziende, le implicazioni potrebbero essere molto concrete: se gli acceleratori fotonici manterranno le promesse, potranno ridefinire l’economia del cloud computing, offrendo calcolo più veloce con consumi energetici drasticamente inferiori. La tedesca Q.ANT e l’ecosistema olandese attorno a PhotonDelta sono diventati poli di questo movimento, impegnati a costruire catene di fornitura che possano posizionare l’Europa come attore imprescindibile nell’infrastruttura AI di nuova generazione.

Ciò che rende questa evoluzione particolarmente significativa è che l’Europa vanta una lunga tradizione nell’ottica e nelle apparecchiature per semiconduttori: il photonic computing si inserisce direttamente nelle competenze industriali che il continente coltiva da decenni. Diverse linee pilota europee hanno dimostrato il potenziale degli acceleratori fotonici di fornire una maggiore efficienza energetica per i carichi di lavoro AI rispetto alla sola elettronica. Tuttavia, il collo di bottiglia è l’assenza di un percorso industriale scalabile: il design dei chip fotonici è frammentato, la capacità produttiva è limitata e al continente manca ancora una realtà di livello TSMC pronta a produrre in massa processori fotonici. Se l’Europa non riuscirà a colmare questo divario tra eccellenza nella ricerca e scala industriale, la fotonica rischia di diventare un altro campo in cui le scoperte vengono esportate anziché commercializzate in patria.

Un secondo fronte in cui l’Europa ha dato contributi importanti è il neuromorphic computing. I chip neuromorfici cercano di imitare la struttura e l’efficienza energetica del cervello umano: questa architettura consente di eseguire calcolo con consumi estremamente bassi, rendendola ideale per i milioni di sensori, robot e dispositivi intelligenti che popoleranno la prossima generazione di fabbriche, città e catene di fornitura. L’Europa ospita due dei sistemi neuromorfici più avanzati al mondo – BrainScaleS a Heidelberg e SpiNNaker a Manchester. Queste piattaforme erano inizialmente progettate per la ricerca neuroscientifica, ma si sono evolute in ambienti di calcolo sperimentali in grado di eseguire reti neurali rapidissime ed efficienti dal punto di vista energetico. Sebbene ancora in gran parte confinati ai laboratori, offrono scorci di ciò che potrebbe diventare l’hardware AI edge del futuro.

Oggi, il neuromorphic computing non è un campo che i dirigenti devono ancora operazionalizzare. Ma è un settore da osservare con attenzione. Con l’avanzare dell’automazione pervasiva e dei sistemi intelligenti edge, il costo di far funzionare l’AI con budget energetici minimi diventerà un vincolo strategico. Tuttavia, i sistemi neuromorfici affrontano due importanti colli di bottiglia: non sono ancora compatibili con i principali framework di programmazione e richiedono algoritmi specializzati, diversi da quelli utilizzati dai modelli di deep learning oggi dominanti. Finché gli ecosistemi aziendali dell’AI resteranno ottimizzati per architetture centrate sulle GPU, le soluzioni neuromorfiche faticheranno a uscire dal laboratorio. Ma se tali tecnologie dovessero riuscire a farlo – e l’Europa è probabilmente la regione più vicina a renderlo possibile – potrebbero diventare lo strato abilitante per robotica in tempo reale, macchine autonome e piattaforme IoT di nuova generazione. L’Europa deve quindi sviluppare strumenti software, testbed industriali e partnership commerciali necessari a trasformare un vantaggio scientifico in un impatto di mercato concreto.

La connettività racconta una storia simile, fatta di potenziale e vincoli. L’Europa è stata attiva nel definire l’evoluzione del 5G Advanced, con forte coinvolgimento di Nokia, Ericsson e diversi istituti di ricerca nazionali nella definizione degli standard e nello sviluppo di progetti pilota industriali. Queste tecnologie offrono capacità – come comunicazioni ultra-affidabili e a bassa latenza e il network slicing – essenziali per l’AI in tempo reale e per le sue applicazioni future (a partire dalla guida autonoma). Ma i progressi restano disomogenei. La diffusione è rallentata da una politica spettrale frammentata, da incentivi agli investimenti inconsistenti e, soprattutto, dalla debolezza finanziaria degli operatori europei. Senza un coordinamento più solido e ritorni più prevedibili sugli investimenti infrastrutturali, il 5G Advanced rischia di diventare un mosaico, invece che una piattaforma portante per il futuro industriale europeo dell’AI.

Le stesse dinamiche sono ancora più evidenti nei primi passi verso il 6G, dove l’Europa ha di nuovo mostrato ambizione scientifica. A differenza del salto dal 4G al 5G, il 6G non riguarderà principalmente velocità di download più elevate. Le sue ambizioni sono più sistemiche: reti industriali iper-efficienti, digital twin continentali e gestione di rete basata su AI, capace di prevedere e adattarsi alla domanda in tempo reale. Il ruolo europeo non è casuale: iniziative come Hexa-X e Hexa-X-II, guidate da player industriali europei e finanziate dalla Commissione europea, mirano a posizionare la regione in prima linea nella definizione degli standard globali del 6G.

Centri di ricerca da Oulu a Dresda stanno esplorando componenti chiave del 6G, come le comunicazioni sub-THz, ma questa forza scientifica nasconde due vulnerabilità strutturali. Primo, l’Europa non dispone della scala d’investimento vista negli Stati Uniti e in Asia, dove i programmi sul 6G sono legati a strategie industriali e iniziative di difesa più ampie. Secondo, si sta ampliando il divario tra la ricerca e gli operatori telecom che dovranno implementare queste tecnologie; molti operatori restano finanziariamente sotto pressione e avversi al rischio dopo anni di margini compressi. Ciò solleva una domanda critica: anche se l’Europa progetterà il futuro della connettività, sarà in grado di costruirlo?

 

Considerazioni finali

Nel complesso, queste tecnologie emergenti illustrano il paradosso che l’Europa si trova oggi ad affrontare. Il continente possiede capacità di ricerca di livello mondiale e un ruolo attivo nella definizione degli standard di nuova generazione. Eppure, fatica a trasformare la leadership nella scoperta in leadership nella diffusione. Il photonic computing e il neuromorphic computing offrono percorsi per ridurre la dipendenza europea da architetture energivore dominate dalle GPU, ma entrambi richiedono scala industriale e un allineamento più stretto tra ricerca e domanda aziendale. Allo stesso modo, il 5G Advanced e il 6G potrebbero costituire il sistema nervoso della futura economia digitale europea, ma solo se verranno affrontati la frammentazione normativa, gli ostacoli agli investimenti e la debolezza del settore telecom.

La capacità dell’Europa di competere nell’età dell’AI dipenderà non solo dalla rapidità (e dall’efficacia) con cui le aziende adotteranno nuovi strumenti, ma anche dalla capacità del continente di cogliere queste tecnologie emergenti e integrarle in un’infrastruttura digitale coerente e sovrana. Le basi per una tale strategia esistono già. La domanda, ora, è se l’Europa agirà, o se lascerà che siano altri a farlo per primi.