
Il potenziale inespresso della Blue Economy italiana

Uno dei motori economici più rilevanti d’Italia cela un enorme potenziale ancora inespresso e per realizzarlo non serve un maggiore sfruttamento, ma conservazione e gestione sostenibile.
È una delle conclusioni della ricerca con cui il Sustainability Lab di SDA Bocconi School of Management, insieme a Intesa Sanpaolo, inaugura il Blue Monitor. Sebbene l’economia del mare in Italia sia già una forza trainante e contribuisca in modo significativo al PIL e all’occupazione, lo studio dimostra che la protezione strategica e il ripristino degli ecosistemi marini possono generare nuovi flussi di valore economico, creando occupazione e stimolando l’innovazione in modi finora sottovalutati.
Le domande
L’Italia possiede un’importante economia del mare, che include settori consolidati come il turismo costiero, il trasporto marittimo e la pesca. Con una costa vasta e una posizione strategica nel Mediterraneo, l’Italia occupa una posizione di rilievo nel panorama marittimo europeo. Tuttavia, il potenziale economico specificamente legato alla conservazione e all’uso sostenibile degli ecosistemi marini (il cosiddetto Capitale Naturale Blu) è rimasto finora poco esplorato.
La ricerca si propone di rispondere a un’ampia gamma di domande:
- Qual è il contributo attuale dell’economia marina italiana?
- Come si posiziona l’Italia rispetto ad altri paesi UE nei settori chiave?
- Quali sono i comparti emergenti della blue economy?
- Come possono investimenti nella protezione e nel ripristino del capitale naturale marino generare benefici economici tangibili e nuove opportunità imprenditoriali?
- Quali strumenti e politiche sono necessari per sbloccare questo potenziale?
Lavoro sul campo
I ricercatori hanno analizzato e sintetizzato dati e risultati da fonti nazionali ed europee, tra cui studi sulla biodiversità marina, rapporti sulla blue economy, ricerche sulle aree marine protette, sul carbonio blu (quello assorbito dagli ecosistemi marini e costieri), sulle tecnologie digitali e su strumenti finanziari.
Nel 2022, l’economia del mare italiana ha registrato numeri molto significativi:
- Il valore aggiunto lordo (VAL) dei settori marini consolidati ha raggiunto i 64,6 miliardi di euro (+15,1% rispetto all’anno precedente, oltre il doppio del tasso di crescita nazionale del 6,9%).
- L’impatto economico totale diretto e indiretto è stato di 178,3 miliardi di euro, pari al 10,2% del PIL nazionale.
- L’occupazione ha superato 1 milione di addetti (+6,7% in un anno, quasi quattro volte il tasso nazionale).
- Il settore conta quasi 228.000 imprese, in crescita del 4,3%, in controtendenza rispetto al calo del 2,2% del tessuto imprenditoriale complessivo.
- L’Italia è tra i primi cinque paesi UE per produzione di valore aggiunto marino.
I tre settori della Blue Economy italiana che generano più VAL sono turismo costiero (alloggio e ristorazione, con 18,5 miliardi di euro di VAL e 410.700 addetti); ricerca, regolazione e protezione ambientale: (15,9 miliardi e 155.900 addetti) e trasporto marittimo: (12,7 miliardi e 141.200 - i porti italiani generano il 12% del VAL europeo).
Tra i settori emergenti, si segnalano le energie rinnovabili marine (capacità attuale limitata, ma grande potenziale per eolico offshore, energia dalle onde e maree), le biotecnologie e biofarmaceutica marina (10% delle aziende UE è italiana), la sicurezza e sorveglianza marittima (con forti sinergie con cantieristica, elettronica e tecnologie digitali).
Lo studio evidenzia in particolare le opportunità imprenditoriali legate alla conservazione e al ripristino del Capitale Naturale Blu. Le soluzioni basate sulla natura, come le aree marine protette (AMP), offrono benefici concreti, come l’aumento della biomassa ittica (fino al +54%), e la crescita del turismo sostenibile: le AMP di Porto Cesareo (70,4 milioni/anno) e delle Tremiti (25,1 milioni/anno) mostrano impatti significativi, anche in termini di occupazione (ogni AMP può generare 30-50 posti di lavoro diretti).
Anche le tecnologie digitali e i dati marini rappresentano un’opportunità importante. Ad esempio, il monitoraggio tramite AI può prevenire perdite del 20-40% in acquacoltura e aumentare del 47% il tasso di crescita degli stock ittici. Il mercato globale della digitalizzazione marittima potrebbe superare i 423 miliardi di dollari entro il 2031. Il controllo dell’inquinamento marino permette di risparmiare (la sola pulizia delle spiagge costa oltre 413 milioni l’anno nell’UE) e rende le aree costiere più attrattive per turismo e pesca. Le infrastrutture innovative, come le rinnovabili offshore, potrebbero generare oltre 25.000 posti diretti in Italia entro il 2030.
Guardando avanti
I risultati dello studio indicano che è necessario accelerare la protezione degli ecosistemi marini. Attualmente, l’Italia protegge solo il 12% della sua superficie marina, ben lontana dall’obiettivo europeo del 30% entro il 2030 (di cui almeno il 10% soggetto a protezione rigorosa). Per colmare questo divario, occorre istituire nuove AMP e rafforzare la gestione di quelle esistenti, garantire risorse adeguate alla loro attuazione e costruire un quadro normativo più stabile e coerente, capace di ridurre la frammentazione e favorire investimenti a lungo termine.
La Strategia Nazionale per la Biodiversità al 2030 e i 400 milioni di euro del PNRR già stanziati per il ripristino degli ecosistemi marini rappresentano passi importanti, ma servirà un impegno duraturo, che vada oltre i finanziamenti straordinari.





