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Decarbonizzare il trasporto marittimo: la via italiana passa dalle sinergie industriali

05 dicembre 2025/DiOliviero Baccelli
decarbonizzare il trasporto marittimo

Dai porti italiani passa circa la metà delle importazioni e delle esportazioni in termini di volumi e da essi dipende in modo considerevole la mobilità di quel 12% di popolazione italiana che vive sulle isole. Una nave da crociera ferma in porto, infine, può consumare, e produrre emissioni, quanto una piccola città. 

Ridurre le emissioni del trasporto marittimo è una delle sfide più complesse della transizione ecologica. Non a caso, il settore è classificato tra gli hard to abate: non esiste una tecnologia unica e risolutiva, ma un mosaico di possibili soluzioni. Una ricerca di SDA Bocconi, nell’ambito del Monitor Blue Economy in collaborazione con Intesa Sanpaolo, mette in luce che le strategie adottate finora in Italia – dal cold ironing al gas naturale liquefatto (GNL) – hanno prodotto risultati modesti sino ad ora, e in ogni caso anche nel medio lungo periodo consentirà al massimo un taglio del 5% delle emissioni. 

Per fare un salto di qualità, occorre guardare oltre i porti e le singole compagnie marittime, puntando su sinergie con i grandi sistemi industriali, in particolare nel campo della cattura e gestione della CO₂. 

Questa prospettiva è particolarmente rilevante per l’Italia, che sconta costi energetici elevati, una frammentazione portuale e difficoltà a realizzare nuove infrastrutture, oltre a rapporti fra porto e città spesso conflittuali a causa della vicinanza ai centri storici. Ma proprio per queste debolezze, concentrarsi su ciò che il Paese sa già fare, come le tecnologie sviluppate da Eni, Saipem e Snam a Ravenna per la cattura e lo stoccaggio della CO₂, potrebbe diventare un fattore competitivo distintivo a livello Mediterraneo 

Le domande 

Il lavoro di ricerca si chiede come possa l’Italia affrontare la decarbonizzazione del trasporto marittimo, in un contesto in cui i modelli europei e internazionali non sono facilmente replicabili. 

Negli ultimi anni, le politiche comunitarie hanno imposto nuove regole stringenti: l’inclusione del settore marittimo nell’Emission Trading System (ETS) e la normativa FuelEU Maritime obbligano gli operatori a calcolare non solo il prezzo del carburante, ma anche il costo delle emissioni. Tuttavia, mancava una valutazione chiara di quanto le strategie italiane (elettrificazione delle banchine e incentivi al GNL) potessero davvero contribuire agli obiettivi climatici. 

Lavoro sul campo 

La ricerca ha analizzato gli effetti delle due misure principali finanziate con il PNRR:  

  • Cold ironing: l’elettrificazione delle banchine per ridurre le emissioni delle navi in porto. Pur avendo ricevuto finanziamenti cospicui, la misura soffre di ritardi regolatori e di scarsa chiarezza sui costi per le compagnie. 
  • GNL: nuove navi e infrastrutture per il rifornimento. Tuttavia, in Italia il prezzo del GNL è tra i più alti al mondo e l’infrastrutturazione è minima (solo un impianto a Ravenna). Anche qui, l’impatto stimato è modesto. 

 L’esito è che, anche nella migliore delle ipotesi, queste strategie riducono le emissioni di meno del 5%. Ben lontano dagli obiettivi fissati dall’Unione europea. 

Da qui l’attenzione a una terza via: la cattura della CO₂ a bordo delle navi, integrata con i poli industriali italiani. Ravenna ospita già il principale hub del Mediterraneo per il carbon capture and storage, destinato oggi a settori come acciaierie e cementifici. Estendere questa tecnologia al marittimo significherebbe sfruttare economie di scala, con potenziali riduzioni di emissioni ben superiori rispetto al GNL (che si ferma nel migliore dei casi a -23%). 

Un ulteriore fronte riguarda le 220 navi del trasporto pubblico locale marittimo. Qui la ricerca suggerisce approcci mirati: elettrificazione diretta per le navi impegnate nei collegamenti per le isole minori e schemi premianti di green procurement, adattati alle caratteristiche di stagionalità e piccola scala del servizio. 

Guardando avanti 

L’Italia ha bisogno di politiche meno frammentate e più orientate alle sinergie. La ricerca suggerisce di superare gli investimenti “a pioggia” e di concentrare le risorse su progetti integrati, capaci di collegare porti e industria. Per le autorità portuali e le regioni, la sfida è declinare le strategie in base alle specificità locali, evitando il copia-incolla di soluzioni standard. 

La prospettiva della carbon capture apre scenari di business inediti: retrofitting delle flotte, nuove partnership con l’industria energetica, gestione delle infrastrutture di stoccaggio. Inoltre, l’applicazione dell’ETS genererà per l’Italia risorse comprese tra i 333 e i 419 milioni di euro l’anno dal 2026, che potrebbero essere reinvestite proprio in innovazione e infrastrutture verdi. 

Gli armatori che operano in Europa dovranno valutare con attenzione il mix energetico delle flotte, considerando non solo i costi delle diverse opzioni di carburanti ma anche quelli crescenti legati alle emissioni di tutti i gas climalteranti. Inoltre, occorre guardare oltre gli approcci tradizionali, puntando su partnership industriali che possano offrire economie di scala, come nel caso della cattura della CO₂. 

La decarbonizzazione del trasporto marittimo italiano resta una sfida titanica, ma la ricerca dimostra che guardare oltre il perimetro del settore, costruendo ponti con l’industria pesante, è una strategia che può pagare.  

Blue Monitor (Oliviero BaccelliClaudio Brenna). L’evoluzione verso la mobilità sostenibile passa dal settore marittimo-portuale: il mix di tecnologie, strategie organizzative e politiche locali per cogliere le sfide del cambiamento climatico.