Consumi & costumi

Imprenditorialità in cerca di (nuovi) autori

Nonostante le persistenti barriere sociali e strutturali, nel corso del 2020 lo spirito imprenditoriale è cresciuto, anche tra le categorie che appaiono meno tutelate, in primis i giovani e le donne

Il trend

In base alle stime Eurostat sulla crescita annuale per il 2020, il PIL nella zona euro è calato del 6,8 per cento e del 6,4 per cento nella UE-27. La contrazione dell’economia globale si fermerà invece al 3,5 per cento, e nonostante le proiezioni ottimistiche per il 2021, la strada per il recupero si prospetta lunga.

 

Ma l’annus horribilis 2020 ci consegna anche qualche dato che forse risulta sorprendente, di certo si rileva molto interessante: dal recente report Ipsos Entrepreneurialism. In the Time of the Pandemic emerge infatti che oltre un terzo degli adulti in tutto il mondo dichiara di possedere uno spirito imprenditoriale molto alto.

 

Si tratta di un’evidenza che, pur con differenze accentuate da Paese a Paese, è indicativa delle capacità di reazione di molti cittadini alle avversità causate dalla pandemia e che rappresenta una speranza per l’immediato futuro: al netto degli incentivi e dei finanziamenti pubblici, lo spirito imprenditoriale è infatti fondamentale per una solida, duratura ripresa economica, magari nel segno dell’innovazione. In particolare, poi, tra coloro che nell’ultimo anno hanno dato vita a un’attività, tre su dieci affermano che non avevano intenzione di farlo, ma che la pandemia li ha motivati in tal senso. Conferma ulteriore della volontà di non subire passivamente gli eventi avversi.

 

Lo studio di Ipsos, condotto su un ampio campione di oltre 20mila persone sparse in 28 Paesi (Arabia Saudita, Argentina, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Cina, Colombia, Corea del Sud, Francia, Germania, Gran Bretagna, Ungheria, India, Italia, Giappone, Malesia, Messico, Paesi Bassi, Perù, Polonia, Russia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Sud Africa, Turchia), è stato realizzato alla fine del 2020 e fotografa con accuratezza diversi aspetti legati all’imprenditorialità. Tutti elementi con cui i governi, le istituzioni e le banche dovrebbe fare i conti.

 

Alcuni punti salienti

A partire dall’Entrepreneurial Spirit Index di Ipsos, un indicatore che considera 18 caratteristiche imprenditoriali chiave (dall’etica del lavoro alla propensione di assunzione dei rischi, dalle abilità creative all’ambizione personale, dalla passione per ciò che si fa all’orientamento al risultato), il report rivela che il 32 per cento dei cittadini a livello globale dichiara di avere uno spirito imprenditoriale «molto alto», percentuale che sale al 69 per cento se si includono anche le risposte che indicano il livello «alto».

 

Osservando la classifica globale dei Paesi con il più forte spirito imprenditoriale, appare netta la spaccatura tra Paesi emergenti e Paesi industrializzati. La Colombia si posiziona al primo posto, seguita da Sud Africa, Perù, Arabia Saudita e Messico; Belgio, Gran Bretagna, Francia, Paesi Bassi, Corea del Sud e Giappone si collocano invece agli ultimi posti, con percentuali sempre inferiori alla media globale. L’Italia, tredicesima e prima tra i Paesi europei, fa segnare una percentuale del 29 per cento, in aumento del 5 per cento rispetto al 2018, anno dell’ultima rilevazione Ipsos sul medesimo argomento.

 

L'imprenditorialità si manifesta principalmente nella sua forma tradizionale, ossia attraverso la creazione di imprese. Tre cittadini del mondo su dieci dichiarano di aver avviato almeno un'attività in passato (aprono la classifica Perù, Colombia e Sud Africa, chiude il Giappone). In questa particolare rilevazione, in Italia coloro che affermano di aver iniziato un nuovo business sono stati il 4 per cento in più rispetto al 2018 (l’Italia è quarta in assoluto per tasso di crescita). Il medesimo risultato si registra anche in relazione al dato sull'imprenditorialità sociale, ossia tra coloro che dichiarano di aver dato vita a gruppi di interesse su questioni sociali, politiche o economiche.

 

A questi dati si aggiungono poi le rilevazioni in merito alle aspirazioni e ai progetti futuri dei cittadini. In Paesi come Perù, Messico e Colombia oltre il 60 per cento degli intervistati dichiara la volontà di avviare una nuova attività nei prossimi due anni (la media globale è del 30 per cento); l’Italia, ferma a metà classifica con il 21 per cento, è comunque in crescita di 7 punti percentuali sul 2018.

 

Nonostante in termini assoluti l’attitudine all’imprenditorialità sia più alta tra i Millennial, la Gen X, coloro con un’istruzione superiore e un reddito più alto, a livello globale, negli ultimi due anni questa è cresciuta maggiormente tra le fasce di popolazione meno tutelate dal punto di vista economico e sociale: le donne (+4 per cento sul 2018), la Gen Z (+3 per cento) coloro che hanno un basso livello d’istruzione (+7 per cento) e un basso reddito (+9 per cento).

 

Fare impresa, tuttavia, non è per tutti. O, per meglio dire, non a tutti sono concesse le medesime condizioni di partenza. Le più svantaggiate sono le donne, i cittadini appartenenti a gruppi LGBTQ e le persone con disabilità.

 

Gli ostacoli alla libera attività imprenditoriale non sono però solo di natura sociale ma anche strutturale ed economica. I governi, così come il settore finanziario e bancario sono globalmente percepiti come interlocutori poco attivi nel sostenere i cittadini e le loro aspirazioni da imprenditori. A tal riguardo, il giudizio più negativo arriva dai giapponesi (solo il 9 per cento si dichiara infatti soddisfatto del sostegno ricevuto); India, Polonia e Malesia sono invece i Paesi dove il sostegno di questi attori è percepito con grande favore (con percentuali tra il 43 e il 64 per cento); l’Italia è quart’ ultima, appena sopra Perù, Ungheria e Giappone.

 

La mancanza di finanziamenti rappresenta la principale barriera all’avvio di un’attività imprenditoriale per il 41 per cento degli intervistati a livello globale, mentre la mancanza di interesse all'imprenditorialità in Canada, Belgio, Stati Uniti, Australia, Germania, Svezia, Gran Bretagna e Paesi Bassi raggiunge il 40 per cento degli intervistati, un ostacolo che invece non viene rilevato in Sud Africa, Arabia Saudita, Colombia e Messico. Un’ulteriore e netta spaccatura tra Paesi a più alto reddito e quelli emergenti.

 

Infine, dal report emerge come esperienza imprenditoriale e spirito imprenditoriale siano fortemente correlati. Coloro che hanno già avuto esperienze di business sono più portati al rischio e alla libera iniziativa. L’attitudine all’imprenditorialità va dunque incentivata, favorendo uno spirito proattivo in tutti i cittadini.

 

 

 

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