L’inclusione? Un valore, non un’etichetta

Diversity in Business, un incontro organizzato dal Club LGBTQ+ di SDA Bocconi e sponsorizzato da Amazon

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La Diversity&Inclusion è il tema cruciale o certamente uno gli elementi chiave della dimensione sociale della sostenibilità. Lo ha sottolineato il Direttore del FT MBA di SDA Bocconi, Stefano Pogutz nel salutare il numeroso ed eterogeneo pubblico (anche dal punto di vista della provenienza) del Diversity in Business 2022. Organizzata dagli studenti del Club LGBTQ+ di SDA, la conferenza, alla sua prima edizione, ha riunito rappresentanti dei settori più diversi – e forse non è un caso –, dalla consulenza allo spettacolo, dalla moda al turismo, ai giganti del tech. “In quanto alleato del mondo LGBTQ+”, commenta Mattia Quaresmini, studente MBA e presidente del Club Out, “penso davvero che siamo noi a dover fare il primo passo. Sono certo che questa conferenza darà avvio a una tradizione che porterà maggiore consapevolezza e farà di SDA Bocconi uno dei punti di riferimento per questi temi in Italia”.

La diversity è ormai riconosciuta a pieno titolo come fattore strategico per la produzione di valore e come motore di innovazione all’interno delle organizzazioni, eppure non sempre si dà la giusta attenzione alla creazione di un ambiente inclusivo e a un clima di sicurezza psicologica, condizione essenziale per permettere alle persone di esprimere tutte le loro potenzialità. Proprio il clima che si percepiva durante il meeting, grazie anche all’apprezzato confronto con i panelist nelle diverse occasioni di convivialità e networking. E un clima che è certamente frutto della sinergia tra percorsi individuali, cultura sociale e iniziative istituzionali – e in questo le scuole di formazione devono essere in prima linea. Ma che, come molti altri obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU, guarda alle aziende come protagoniste del cambiamento.

“In Amazon la D&I è tra le basi della nostra cultura, fa parte dei nostri Leadership Principles: It’s simply right”, ha sottolineato Felice Testa, Brand Marketing Manager Amazon Prime Video Italia, citando Jeff Bezos. “Il cambiamento è fatto di azioni – e collaborazioni – molto concrete, ad esempio per quanto riguarda il congedo parentale, il rientro part-time al lavoro, o il gender gap; o ancora, all’esterno dell’azienda, il lavoro con varie associazioni nelle famiglie e nelle scuole, per esempio per avvicinare le studentesse alle materie STEM”. Gli fa eco Luciano Cantoni, Head of Cross-Product Ads Solutions Google Italy: “Google ha introdotto una policy per cui il 20% del tempo di lavoro è libero da assignment per essere investito in D&I. Questa è anche inserita come parte integrante del processo di selezione e onboarding dei nuovi assunti”.

Quello dell’accesso al lavoro per le persone LGBTQ+ è un punto affrontato anche dall’attrice Cristina Bugatty: “Benché riscontri a volte una conoscenza più scarsa e distorta del mondo LGBTQ+ rispetto al passato, il problema non sono i colleghi o le persone comuni. Sono proprio coloro che occupano le posizioni decisionali a dimostrarsi meno aperti e a tenere le porte chiuse a chi non è ‘come loro’. Abbiamo ancora bisogno di incasellare le persone e non abbiamo capito che non è possibile. Anche perché nel tempo tutti possiamo cambiare”. Un punto di vista confermato, da un’altra prospettiva, anche da Diego Passoni, voce di Radio Deejay: “Anch’io mi sono scontrato con gli stereotipi in ambito lavorativo. Vero è che la televisione semplifica la realtà (la radio è più libera, viaggia sotto il ‘radar del potere’), ma è non ha senso essere invitato ai talk show magari su argomenti di cui so poco o nulla solo per ‘garantire la presenza gay’”. Una distorsione del concetto di inclusione che riduce le persone a etichette.

Alessio Virgili, co-fondatore e CEO del gruppo internazionale di tour operator LGBTQ+ Sonders and Beach, raccoglie il testimone: “Anche nel mio settore ho constatato che spesso i clienti non sono prevenuti come alcuni operatori temono. E comunque l’economia LGBTQ+ vale 1.300 miliardi e sono sempre più numerosi i comparti che sviluppano prodotti mirati”. Virgili si dedica molto anche al lavoro di rete, in particolare in seno all’associazione internazionale di categoria, la cui convention globale si terrà a Milano in autunno.

Per NiK Kacy, fashion designer di Los Angeles, questa capacità di cogliere i bisogni della clientela che è alla base dello spirito imprenditoriale è radicata nella storia personale. “Volevo delle scarpe calzanti tanto per i miei piedi quanto per la mia identità (e che non fossero magari solo marroni o nere). Ho lasciato Google per fondare un mio brand di accessori gender-neutral. Anche un dettaglio può aiutarti a trovare la tua voce, un processo che per me non è stato semplice anche perché la mia cultura asiatica di origine insegna più a servire gli altri che a dare spazio a sé stessi”.

“È evidente che chi può essere sé stesso sta meglio e lavora meglio”, conferma Arjen Iwema, fondatore di W-focus Inc., un passato di consulente strategico in McKinsey&Co a Ginevra. “Le persone devono essere messe in grado di non dover dire la prima bugia, per non rischiare poi di rimanere intrappolate in un bozzolo di inautenticità. Le policy di tutela aziendali contribuiscono inoltre a evitare ai dipendenti un altro rischio, quello di un’eccessiva focalizzazione sul genere e/o l’orientamento sessuale a discapito delle altre dimensioni della persona. Educhiamoci a un approccio olistico e non chirurgico all’identità”.

È chiaro, come sottolinea Emanuele Veratti, partner Bain & Co. nella sede di Milano, che non basta introdurre delle policy, bisogna gestirle. “Anche per mantenere un sano equilibrio tra l’impegno per l’inclusione e la pressione che potrebbe generare per i membri LGBTQ+ dell’organizzazione, i quali potrebbero sentirsi ‘usati’ in tal senso. Se da un lato resta confermata l’importanza che questi ultimi rappresentino dei modelli di ruolo, dall’altro è fondamentale il supporto degli ‘alleati’, di tutti coloro che sostengono attivamente le questioni legate alla D&I”. Soprattutto se si trovano in posizioni di responsabilità. “Noi consulenti siamo abituati a convincere i dirigenti a fare cose che rompono con il passato”, conclude Iwema. “Anche da questo punto di vista, le aziende posso essere motore di cambiamento della cultura e della società”.

Le parole di Catherine De Vries, Dean for Diversity and Inclusion dell’Università Bocconi, si prestano bene a sintetizzare lo spirito dell’incontro e delle politiche di D&I: “La diversità è un fatto, l’inclusione è la nostra prassi, l’equità l’obiettivo”. E ogni esperienza personale e organizzativa condivisa contribuisce (e motiva) a fare un passo in più in questa direzione.

SDA Bocconi School of Management

 

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