Pensare all’eccellenza di domani: la leadership secondo Riccardo Illy

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Lungimiranza, capacità di innovazione, costante ricerca del meglio: la miscela perfetta della leadership. Tanto più se a proporla è un personaggio che su leadership e miscele di successo ha qualcosa da dire. Stiamo parlando di Riccardo Illy, Chairman del Gruppo Illy che, oltre al famoso marchio di caffè, detiene brand di eccellenza nel settore alimentare come Domori (cioccolato), Dammann Frères (tè), Mastrojanni (vini di pregio), Agrimontana (confetture e alta pasticceria). La sua è una storia di imprenditoria italiana di valore, di un’azienda familiare che ha saputo portare in tutto il mondo il gusto e la ricerca dell’eccellenza, superando le criticità tipiche dei passaggi generazionali e affrontando uno scenario competitivo popolato da giganti. Ma è anche la storia di una brillante carriera politica che lo ha visto sindaco di Trieste per due mandati (dal 1993 al 2001), parlamentare e poi governatore della Regione Friuli-Venezia Giulia (dal 2003 al 2008). Un imprenditore in politica sui generis, che ha parlato di sé e della sua idea di strategia ai partecipanti del Full-Time MBA durante un incontro delle Leadership Series.

Guardare al futuro da tre generazioni

Figlio d’arte (la Illycaffè, fondata nel 1933 dal nonno, Francesco Illy, e poi passata al padre, Ernesto, è ora alla terza generazione familiare), Riccardo Illy è stato uno dei protagonisti dell’espansione dell’azienda. La diversificazione è stata una precisa scelta strategica: «Producevamo e vendevamo quasi in tutto il mondo solo caffè della migliore qualità e con un unico marchio: volevamo rendere riconoscibile l’eccellenza. Però abbiamo stimato che in questo mercato avremmo potuto crescere ancora per 10-20 anni, poi avremmo toccato il soffitto. Cosa avremmo lasciato alla prossima generazione? Avevamo due possibilità: rimanere nel business del caffè cambiando strategia commerciale, cioè aggiungendo altre fasce di qualità per ampliare la quota di mercato; oppure restare solo nel segmento top ma ampliando la gamma di prodotti. Abbiamo scelto la seconda opzione e dal 2004 abbiamo avviato la diversificazione».

Una diversificazione avvenuta con acquisizioni di aziende top quality nei rispettivi mercati. Ma evitando politiche egemoniche: «Ogni azienda è gestita in maniera indipendente e i brand rimangono separati: chi ha letto Positioning di Ries e Trout sa bene che è difficile ricordare un brand che cerca di rappresentare più di un prodotto. Chiaramente tutte le sinergie sono incoraggiate, soprattutto sui key accounts, ma ogni azienda ha la sua organizzazione delle vendite. Questo perché le aziende hanno volumi d’affari molto diversi tra loro e una rete commerciale unica finirebbe per privilegiare i prodotti con maggior fatturato. Sappiamo che può essere una sotto-ottimizzazione sul breve periodo, ma penso che sia l’unico modo per far crescere le aziende minori fino a portarle in Borsa, come vorrei».

Rinnovarsi senza perdere l’identità

Costante focus sul lungo periodo, dunque, ma non solo. La chiave della sostenibilità economica di un’impresa sta nella sua capacità di innovare e rinnovarsi. E l’innovazione sembra appartenere al dna della famiglia Illy. A partire dal fondatore, che nel 1935 cambia il modo di fare l’espresso inventando una macchina a pompa che porta l’acqua in pressione senza surriscaldare la miscela. O con l’introduzione, negli anni ’70, della monoporzione (la “cialda” per espresso) ispirata alla paper pot del caffè americano e abbinata a una macchina per espresso domestica, che un decennio dopo, con la nascita di Illy USA, viene lanciata anche sul mercato statunitense.

È all’inizio degli anni ’80 che Riccardo Illy, convinto che le prospettive di crescita siano sempre più internazionali, crea in azienda la divisione marketing. E nell’arena globale ben presto il “Davide” italiano si trova davanti “Golia” del calibro di Nestlè con la linea Nespresso. «Avevamo il vantaggio di essere già sul mercato delle monoporzioni per espresso e potevamo diventare lo standard», ricorda Illy. «Per questo fondammo un consorzio e aprimmo il sistema invitando tutti i produttori di macchine per caffè e le maggiori torrefazioni di qualità. Ma la campagna di comunicazione non funzionò a causa di problemi tra i partner del consorzio. L’idea di poter scegliere liberamente tra diverse marche di caffè per la stessa macchina espresso avrebbe potuto essere vincente ma non arrivò con forza al consumatore».

Illy non si arrende e risponde con un altro salto di qualità: «Facemmo la nostra ricerca e sviluppammo un nuovo tipo di capsula, la Hyper Espresso, con due vantaggi principali: un filtro speciale che facilita l’emulsione tra l’acqua e gli oli naturali del caffè per ottenere un sapore più ricco e una maggiore corposità; e un sistema che permette all’acqua di passere dalla capsula alla tazza senza contatto con la macchina, con maggiore sicurezza igienica e senza il bisogno di pulirla». Una strategia che – ammette lo stesso Illy – non è bastata a insidiare il primato di Nespresso, che nel frattempo, con una massiccia campagna pubblicitaria a suon di testimonial hollywoodiani, è diventato leader del mercato e rappresenta ora lo standard per le macchine espresso domestiche.

«Questa esperienza ci ha insegnato una cosa importante», prosegue Illy. «Esiste una dinamica di mercato poco nota ma riscontrata di frequente: quando un marchio o un prodotto supera la soglia del 72% della quota di mercato decolla automaticamente al 98%. Quindi continuare con Hyper Espresso significa giocarsi con i competitor  il restante 2%: una piccola nicchia. Che fare? Escludiamo di entrare nel mercato delle capsule “pirata” come hanno fatto altri perché significherebbe perdere la nostra identità. È una decisione difficile e la prenderemo nei prossimi mesi». Evidentemente Davide non considera ancora chiusa la partita.

Seminare perché altri raccolgano

Invece sembra conclusa, almeno per ora, l’esperienza politica di Riccardo Illy. Ma si tratta di una stagione troppo significativa per non giustificare una riflessione ad hoc. La sollecitazione arriva da Francesco Daveri, MBA Director: come definirebbe Riccardo Illy la sua leadership politica? «La politica per me significa due cose», sottolinea l’ex sindaco di Trieste e governatore della Regione FVG. «La prima è mettere l’interesse comune davanti a quello personale e gli obiettivi di lungo termine davanti a quelli di breve. Uno dei miei primi impegni da sindaco fu completare il collegamento di Trieste con la rete autostradale nazionale e internazionale: considerati i tempi burocratici – 6 mesi solo per ottenere l’autorizzazione ambientale – sapevo che non avrei mai visto, da sindaco, l’opera realizzata. Infatti ci sono voluti 15 anni ma era necessario avviare il processo nell’interesse della città».

L’impronta del manager si nota anche, e soprattutto, sull’organizzazione della macchina pubblica. «La seconda cosa fondamentale in politica è l’approccio professionale. Pensando sempre alla mia esperienza di sindaco, ricordo che in Comune c’erano alcuni manager molto bravi ma un’organizzazione che non funzionava: 36 Direzioni senza un General Manager, ciascuna andava per conto suo. Dovetti cercare la figura che mancava e fui fortunato perché trovai una persona eccezionale, Andrea Viero (peraltro docente SDA Bocconi), che divenne General Manager. Non c’era nessun altro Comune italiano che ne avesse uno. Insieme facemmo due riorganizzazioni dell’amministrazione comunale, riducendo a 12 il numero delle Direzioni».

La scommessa italiana

A conclusione dell’incontro non poteva mancare una domanda sul futuro del nostro paese. Si può essere ottimisti? «Sono un imprenditore e un imprenditore è ottimista per definizione», risponde Illy. «In Italia abbiamo due grandi vantaggi competitivi: il genio e l’estetica. Da un parte, abbiamo la capacità di trovare soluzioni semplici ed efficaci a problemi complessi. Penso ad esempio al campo della meccanica: spesso alcune invenzioni non vengono nemmeno brevettate perché nel tempo che gli altri ci mettono a copiarle noi siamo già andati oltre. Dall’altra, abbiamo un senso del bello e dell’eccellenza unici al mondo. Da questo punto di vista c’è solo un solo paese al nostro livello, la Francia, con cui tra parentesi possiamo collaborare. Se poi pensiamo che a livello globale i “ricchi” stanno aumentando – solo in Cina sono 200 milioni, più che nell’intera Europa – e con essi la domanda di prodotti di fascia alta nei quali noi italiani eccelliamo, è difficile non essere ottimisti, almeno dal punto di vista delle potenzialità che si creano. Il resto sta a noi».

SDA Bocconi School of Management

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