Consapevolezza e visione, le parole chiave per la sanità del futuro

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Le grandi trasformazioni che hanno toccato il SSN (servizio sanitario nazionale) negli ultimi decenni spingono all’inevitabile conclusione che interesse pubblico ed efficienza devono progredire parallelamente. Con una consapevolezza: efficienza non significa soltanto razionalizzazione dei costi, ma anche e soprattutto valorizzazione degli asset esistenti, primo tra tutti il capitale umano. Per farlo c’è sempre più bisogno di manager capaci di uno sguardo generale. Ne è convinto Livio Tranchida, alumnus del MIMS - Master in Management per la Sanità che, dopo diverse esperienze dirigenziali in aziende sanitarie ed enti locali, adesso guida Amos, l’azienda che supporta l’erogazione di servizi per la tutela della salute nelle aziende sanitarie pubbliche del Piemonte (dalla logistica sanitaria all’ingegneria clinica). A lui abbiamo chiesto l’identikit del manager in questo settore e l’importanza della sua formazione.

Il mondo della aziende sanitarie, le sue logiche e la sua organizzazione stanno cambiando profondamente. Un cambiamento spesso percepito solo come risposta a una generale contrazione delle risorse. Ci sono invece delle opportunità in questo processo? E quali?

Certamente il tema della contrazione delle risorse esiste ed è molto sentito sia dagli operatori che dall’utenza. Ma non dobbiamo farne un alibi generale per giustificare altre carenze. Ricordiamoci che le risorse, per definizione, sono un mezzo, non un fine. Il sistema sanitario sta cambiando sotto vari punti di vista. Si pensi soltanto alle riorganizzazioni determinate dal processo di aggregazione: si è passati da 300 a 200 aziende sanitarie sul territorio nazionale nel giro di pochi anni. Partendo dal presupposto che lo scopo ultimo di queste realtà è il servizio alla persona, è evidente che il cambiamento organizzativo non può limitarsi solo alla riduzione dei costi. La due parole chiave per superare questo ostacolo sono: valorizzazione e innovazione. La legge 502 del 1992 è stato un momento fondamentale per la sanità del nostro paese perché ha prodotto l’aziendalizzazione delle strutture e ha introdotto nuove logiche di efficienza nel sistema, ma a 25 anni di distanza è necessario un ulteriore ripensamento del modello generale. Un modello in cui agiscono attori pubblici e privati – intendo le strutture sanitarie ma anche il mondo del non-profit e delle cooperative – uniti da un valore generale, l’interesse pubblico e da comuni standard di servizio. Per far funzionare al meglio questo modello è sempre più necessaria una condivisione degli obiettivi e un patto operativo tra i soggetti interessati che metta tutti nelle condizioni di erogare un servizio adeguato a un domanda sempre più complessa e di rispondere quindi alla sfida sempre più alta di un sistema di tutela dalla salute davvero universalistico.

Si tratta quindi di sfide che richiedono grandi capacità organizzative. Partendo dalla sua lunga esperienza in aziende sanitarie ed enti locali, ritiene che ci sia un’esigenza di managerialità specifica per questi settori? E nel caso, quali sono i suoi caratteri distintivi?

Ho fatto il MIMS 15 anni fa e in questi anni ho avuto incarichi dirigenziali nel settore socio-sanitario, negli enti locali e oggi, a 40 anni, sono direttore generale di in un’impresa pubblica di 1600 dipendenti che offre servizi di supporto alle aziende sanitarie del territorio. Quello che ho capito in questi anni è che per dirigere un’organizzazione complessa, come lo sono le aziende di servizi alla persona servono due cose: energia e visione. L’energia è anche correlata all’età, alla voglia di fare la differenza, al coraggio di provare strade nuove, alla disponibilità a sbagliare. È un’esigenza assolutamente presente nel sistema attuale, anche se non sono in molti ad averla. Se si pensa che l’età media della dirigenza della pubblica amministrazione si aggira sui 55 anni, è evidente che abbiamo bisogno di nuove generazioni di manager per garantire la migliore evoluzione del sistema.
L’altro elemento chiave, che qualifica l’energia, è la visione. Oggi, in sanità come negli enti locali, abbiamo tecnici di altissimo livello che però spesso non hanno il senso di dove vogliono andare. Negli enti pubblici, forse anche per le congiunture politiche, manca talvolta un disegno a lungo termine. Ma l’errore nel quale possono incorrere i manager del settore pubblico è pensare che questa debba arrivare da qualcun altro: proporre una visione di sviluppo, invece, è una delle principali competenze che distinguono un manager da un esperto di management.
Questo si avverte molto, ad esempio, nella gestione delle risorse umane, che resta troppo spesso una funzione marginale Una situazione decisamente paradossale in un sistema deputato a erogare servizi alla persona, dove la componente umana è fondamentale. E la cosa più efficace – nella mia esperienza – per gestire le persone è offrire loro una visione ambiziosa, dare loro una meta.

La domanda a questo punto sorge spontanea: come si diventa manager? E in particolare che peso ha avuto la partecipazione a MIMS sullo sviluppo della sua carriera?

Se dovessi sintetizzare in una parola qual è stata l’acquisizione principale di tutta la mia formazione – che parte dalla laurea in Economia all’Università Bocconi e arriva al Master in Management per la Sanità – direi “consapevolezza”. Consapevolezza delle proprie attitudini, capacità e obiettivi. È la differenza sostanziale tra un tecnico – sia pure di ottima competenza – e un manager. Da questo punto di vista il MIMS è stato il coronamento del percorso formativo, perché mi ha portato a una reale e globale conoscenza del settore, che va al di là delle competenze specifiche ma riguarda appunto la capacità di visione generale, di leggere il contesto nella sua complessità e individuare le priorità. Sanità ed enti locali sono le due dimensioni pubbliche più vicine alle esigenze quotidiane dei cittadini: una posizione troppo importante per la vita del paese per essere presidiata solo con una mentalità specialistica e verticale.

Un consiglio preciso da dare a un giovane che si affaccia a questo mondo.

Il consiglio che mi sento di dare è di non avvicinarsi al mondo della sanità – e di conseguenza alle grandi esperienze formative come il MIMS – solo per trovare un “posto di lavoro”, ma di considerarli un’opportunità per la propria crescita professionale e personale, un contesto in cui imparare a raccogliere stimoli e a mettere costantemente in discussione le certezze acquisite per svilupparne di nuove. L’ambizione di chi fa il MIMS dovrebbe essere quella di rinnovare il sistema sanitario di questo paese e di contribuire alla creazione di valore pubblico. Da allora, questa è l’ambizione che continuo a coltivare. Non so se ci sono riuscito fino ad ora, ma se ho fatto un po’ di strada fino a qui e se continuo a divertirmi credo sia perché mi sono dato un obiettivo non tanto o non solo di carriera, ma del tipo di valore che voglio creare.

SDA Bocconi School of Management

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